PARIGI – Leggere Susan Vreeland è un’esperienza sensoriale. I colori si vedono, i profumi si respirano, l’olio sembra uscire dalle tele. E’ l’Arte al lavoro, raccontata nel divenire. Indagata a partire dall’angolatura di un pennello tuffato in pozzanghere di colore. Arte che diventa Letteratura. “In ogni modo la si guardi, nella vita c’è arte – spiega la scrittrice – e le persone che campano senza rendersene conto, si perdono la parte migliore”.
C’è un momento preciso in cui l’arte si mette a gridare con forza nell’esistenza di questa insegnante americana, in pellegrinaggio – come molti connazionali – fra le grazie di Parigi. E’ il 1971, l’occasione una visita al Louvre, il luogo nientemeno che il Pont Neuf, su cui l’incantata viaggiatrice si ritrova a formulare una promessa: mai più un giorno di vita senza questa bellezza. Così si mette a leggere, a studiare. Passano più di 40 anni: l’insegnante è diventata scrittrice, e la promessa si è incarnata in centinaia di migliaia di copie (650.000 solo in Italia) di libri tradotti in 26 lingue, e sparsi in tutto il mondo. Otto romanzi incardinati sull’arte, l’ultimo dei quali – La Lista di Lisette (Neri Pozza) – è da oggi in libreria. Narra la storia di sette dipinti impressionisti sottratti alla brama predatoria nazista e sepolti in un villaggio della campagna provenzale: prima nascosti, poi perduti, infine ritrovati. Ma racconta anche il viaggio interiore della guardiana dei quadri, una parigina catapultata per caso fra le falesie dorate dell’antico borgo di Roussillon, e lì lasciata dalla vita.
Ci dica la verità, quei quadri non sono stati occultati nelle miniere della Provenza durante la guerra… Certo che no, è un’invenzione letteraria. Ma esistono davvero, quasi tutti. Nel libro ne ho creati solo due.
Quali? Uno è una ‘Natura Morta’ di Cèzanne, che lui non ha mai dipinto. E l’altro è il mio preferito, la ‘Ragazza con la capra’ di Pissarro. Quel quadro esiste, solo che io l’ho modificato girando la ragazza verso l’orizzonte. Cammina con fiducia su un sentiero di cui non vede la fine, né intuisce il percorso. Come per la vita.
Praticamente un dipinto a quattro mani. In un certo senso. Penso che Pissarro sarebbe felice di sapere che ho fatto questo, perché avevo un motivo, era importante per il senso della mia storia. Credo che gli artisti vorrebbero una maggiore interazione del pubblico con le proprie opere, un uso diretto dell’arte nella vita delle persone. Per renderla migliore.
Pissarro compare spesso nel libro. Lo adoro, era un po’ l’anima degli impressionisti, li teneva insieme, li incoraggiava a resistere mentre si arrabattavano nella miseria. Cèzanne lo chiamava: “il mio buon dio, il mio signore”.
Ma la gente vuole davvero sapere cosa c’è dietro un dipinto? Si, credo ci sia in giro una gran fame di bellezza. Tante persone mi chiedono: come si fa a leggere un quadro? Vogliono imparare.
E lei cosa risponde? Che non sono una storica dell’arte. Però posso dare la mia ricetta, da profana, da amante. Io dico che ci sono vari passaggi. Per prima cosa, io cerco la storia. Davanti ad un dipinto mi chiedo: chi sono queste persone ritratte? Sono la figlia, l’amico, la moglie del pittore… Che succede nella loro vita? E perché chi dipinge ha scelto di rappresentarle così? Il primo gradino è dunque narrativo: siamo interessati alle storie.
E poi? Poi ci avviciniamo, guardiamo la tela da vicino, le pennellate, lo stile. Possiamo formulare delle ipotesi: perché sono stati utilizzati quei colori? Perché il pittore ha deciso di disporre le cose in questo modo? E poi c’è il passaggio finale, relativo all’impatto del quadro nella vita di chi lo osserva: come mi arricchisce questa analisi? Cosa mi porto via uscendo da qui? Il vero capolavoro è molto più di un bel soggetto, eseguito mirabilmente: è qualcosa che ci incoraggia ad una connessione con il vero, che ci mostra un aspetto del mondo, o dell’uomo, o della natura, capace di chiamarci in causa, di interpellarci.
Dunque appropriazione dell’arte per conoscersi meglio, per migliorarsi. Si, in fondo non c’è crescita senza conoscenza.
Un processo solo individuale, o un po’ anche collettivo? Da americana, glielo dico francamente, ogni volta che sbarco in Europa sono sbalordita dal vostro patrimonio. Qui la storia si è incarnata nell’arte, che vive ovunque, nelle piazze di città come nelle stradine di campagna. E’qualcosa di molto potente, agisce a livello di comunità, e voi lo respirate nascendo. Forse neppure ve ne rendete conto. Pensi che da noi gli edifici non si ristrutturano, si buttano giù e si rifanno, è più conveniente. Non abbiamo nessuna storia dell’architettura. E gli studenti non fanno storia dell’arte.
Beh, se è per quello stanno smettendo anche qui…. Sarebbe un errore gravissimo. Dovete assolutamente conservare, nutrire la vostra sensibilità. Quando noi americani veniamo in Europa, cerchiamo il passato, perché non ce l’abbiamo.
Imparare ad aver cura della memoria… E’ un po’ quello che succede a Lisette, giovane donna che attraversando la guerra trova la pace. Si, è una parigina che detesta il paese in cui si ritrova. Eppure deve rimboccarsi le maniche, cominciare ad ascoltare e perdonare. Coltiva l’orto, alleva gli animali. Impara a vivere come la ‘Ragazza con la capra’ ritratta nel suo dipinto preferito. Fa anche una lista delle cose da realizzare, che è una traccia della propria crescita: all’inizio vuole un vestito blu, il pensiero di sé stessa è al centro del mondo. Ma alla fine si propone di fare qualcosa di buono proprio per il borgo che l’accoglie, e che lei disprezzava.
Infatti lascerà à Roussilon due quadri che hanno una connessione speciale con quel posto, ne ritraggono le colline, le miniere, le sfumature dell’ocra tanto care a Cèzanne. Lisette cerca di salvare i dipinti e pensa di farlo solo per un proprio bisogno. A poco a poco si rende conto di non vivere un dolore personale. Deve ritrovare i quadri per ricostruire il patrimonio, l’identità stessa della Francia, messa a rischio dal nazismo.
Nel libro c’è una frase di Pissarro: “Quando un uomo trova un luogo che ama, può sopportare l’inenarrabile”. Lei l’ha trovato, questo luogo? Le rispondo con un’immagine della mia vita. Ero bambina, mio nonno pittore viveva con noi, ricopriva le pareti di dipinti, ne posseggo ancora cinque, a casa mia. Io ero sempre con lui, lo accompagnavo alle fiere dove vendeva i quadri. Passavo le ore accanto a lui, mentre dipingeva. Adoravo guardarlo. Ebbene, forse il posto che amo è il ricordo: il ricordo di quell’odore di colori sulla tela. E nella mia testa.
Daniela Cavini