Che cos’è lo ‘storytelling’?
E’ un’arte antica, vecchia come il mondo. Da che l’uomo ha l’uso della parola, in ogni comunità qualcuno si è alzato in piedi per dare risposte all’inspiegabile (normalmente eventi naturali). E’ così’ che sono nati i miti; ed è così che all’interno delle comunità, chi forniva le migliori spiegazioni poteva assumere una posizione di autorità, diventando il saggio o il sacerdote, il giudice o persino il sovrano.
Attraverso quest’arte vecchia come il mondo, chi racconta la storia è capace di trasmettere informazioni , rassicurare la collettività, distribuire giudizi.
Cos’è allora una storia?
E’ un viaggio, con un inizio ed una fine. E’ un percorso attraverso il quale l’eroe – il protagonista della storia – passa da una situazione di equilibrio ad un altra: ma non senza prima aver attraversato l’inferno. L’eroe ha passioni, desideri, sogni. Qualcosa accade sul suo cammino – talvolta molte cose – per impedirgli di raggiungere ciò che si era prefisso. O semplicemente perché così è la vita: tutto scorre. L’eroe è circondato da amici (che lo aiutano) e nemici (che rendono tutto più difficile). Alla fine dell’inevitabile conflitto, il protagonista della storia sarà cambiato. In meglio o in peggio, avrà vinto o perso. Certo però non sarà più lo stesso.
Lo storytelling – l’arte di spiegare il mondo attraverso storie – è uno strumento potente per catturare l’attenzione, stimolare interesse. Ma anche facilitare l’apprendimento. La differenza con una normale tecnica didattica? L’accensione della passione più che la mera condivisione di dati (anche se l’una non esclude l’altra, al contrario, se ne nutre). Per far questo, lo storyteller deve attivare umanità, pescare nei tratti comuni che distinguono l’Uomo: l’eroe che teme e spera, arde ed è di ghiaccio; vola sopra il cielo e giace in terra; nulla stringe e tutto il mondo abbraccia…. (libero riadattamento di una poesia di Petrarca).
Lo storytelling va forte nel marketing perché emoziona. Non vuole convincere, piuttosto coinvolgere. Vende senza mostrare di farlo: una tecnica persino insidiosa.
Che c’entra dunque con l’heritage? C’entra perché essendo una tecnica (e dunque in sé neutra, senza connotazioni di valore) potrebbe e dovrebbe essere applicata anche alla narrazione del patrimonio culturale per rivitalizzarla, fortificarla. Riavvicinarla alla comunità. Che mai come oggi ha bisogno di tornare ad appropriarsi – attraverso uno sforzo di conoscenza che non escluda l’emozione – del tessuto continuo di chiese e cortili, giardini e palazzi, statue e paesaggi chiamato ‘heritage’.
Le storie del patrimonio sono viaggi : dal passato al presente.
Le storie di patrimonio sono depositarie di un ‘perché’ che chiede solo di essere svelato.
Sono storie che vibrano umanità, bisogna solo darsi la briga di farla affiorare. Bisogna denudare i dilemmi di artisti e architetti, rivelare le scommesse dei mecenati, mostrare i sacrifici degli esecutori, raccontare i pericoli legati al viaggio attraverso il tempo che questi beni comuni hanno compiuto per arrivare fino a noi. I resti del grandioso naufragio che ha attraversato i secoli.
Cambiare la loro narrazione, umanizzandola, non significa banalizzarla. Lo storytelling implica un sforzo intellettuale, una conoscenza di temi e contesti, storia e filologia, opere e siti. Eppure lo storytelling dei beni culturali deve uscire dai circuiti ristretti degli specialisti. Che magnifiche ‘storytellers’ sono certe guide turistiche! Per alcune, gli anni di pratica non sono riusciti a spegnere la passione, ed ancora riescono ad entusiasmarsi nei meandri di qualche storia, facendola così attecchire nell’animo di chi ascolta.
Aprendosi alla società, l’heritage storytelling deve rafforzare la relazione fra le pietre e il popolo, riscrivendo il legame che lega le nazioni ai propri tessuti storico-culturali. Deve rivolgersi ai giovani, perché incuriosendosi e appassionandosi, possano acquisire consapevolezza del valore civico di quei beni, e diventare cittadini coscienti prima che spettatori, clienti o – peggio ancora – sudditi. Deve rivolgersi a chi si accinge ad operare nell’ambito del patrimonio, siano essi mediatori culturali o archeologi, curatori o architetti, manager di servizi o eventi, perché riuscire a trovare ‘la’ storia può aiutare a comunicare, cioè a ‘fare, rendere comune’.
Deve rivolgersi a tutti noi, che in ultima analisi siamo i custodi sempre più distratti e inconsapevoli di un bene comune su cui siamo immeritatamente seduti.