D’accordo, c’era una volta Lamerica. Adesso, tutti in Albania. Ma… in quale parte dell’Africa è? Sparita dalle cronache, introvabile nelle reminiscenze di geografia, si aggira incerta fra le pieghe mediatiche più remote della Rete. Ha smesso di fare notizia dieci anni fa, quando lo schema Ponzi – fraudolenta piramide finanziaria applicata in dosi letali – portò Tirana sull’orlo di una guerra civile, annientando lo Stato. Eppure l’Albania assomiglia sempre più alla 21ma regione italiana: oggetto di una silenziosa, non quantificabile, crescente passione di quelli che “tanto da noi non c’è più speranza”.
Dai mercantili sgarrupati a 16.000 nuove imprese l’anno – In effetti negli ultimi 20 anni il piccolo paese delle aquile – neppure 3 milioni di persone – ha spazzato via le macerie economiche e preso il volo. Età media 29 anni, tasso di crescita al 3,4 % annuo, 16.000 nuove imprese registrate nel 2014. Una furiosa battaglia per la legalità (tutt’altro che vinta), mentre il 95% dell’energia è completamente rinnovabile e nessuno può tagliare un albero per i prossimi 10 anni. Sei le ministre donne nel nuovo esecutivo, e persino una qualificazione per gli Europei di calcio: fatti mai accaduti prima nella sua storia. Adagiata a un passo da Brindisi, la nuova candidata all’Unione Europea si è messa a correre. Quella che un tempo brulicava di migranti in fuga dai bunker e a caccia della mistica del Mulino Bianco, si ammanta oggi da nuova terra promessa: secondo le autorità albanesi sono circa 20 mila gli italiani d’Albania, sbarcati sulla riva opposta dell’Adriatico alla ricerca di futuro. Da qui partì nell’agosto del ‘91 la Vlora, un carico di disperazione attraccato nel porto di Bari e negli occhi di un’Italia sbigottita. Erano 20 mila anche loro, fuggiti dal Medioevo a bordo di qualche mercantile sgarrupato: a tutt’oggi, il più massiccio sbarco di profughi in un sol giorno. Per molti di noi, l’Albania è ancora quella. Niente di più falso.
Basta individualismo sfrenato – “Per entrare a Tirana, anche Marx avrebbe dovuto tagliarsi la barba”: Edi Rama, classe 1964, pittore e giornalista, premiato nel 2004 come miglior sindaco del mondo, negli 8 anni alla guida di Tirana ha spalmato colori sui decrepiti casermoni della capitale, cambiandone il volto e risollevandone il morale. E oggi a capo di un esecutivo socialista, parla a colori anche quando rievoca il buio del mezzo secolo di isolazionismo staliniano imposto da Enver Hoxha. Quando strade asfaltate e acqua corrente erano un miraggio, e il paese faceva letteralmente la fame. “Tutto era regolamentato, persino la lunghezza dei capelli. Nessun iniziativa, nessun dissenso era possibile – racconta ad una platea di studenti italiani accompagnati alla scoperta della nuova Albania dalla Comunità di Sant’Egidio – non è stato facile crescere in un mondo dove non esiste opposizione, solo nemici da distruggere. Ecco perché oggi dobbiamo imparare a confrontarci senza volerci annientare. Più che vittoria della maggioranza, democrazia significa rispetto per l’opposizione …”. Rama ricorda come – dopo la liberazione dalla follia di Hoxha e la fine del regime – il cambiamento nel paese sia stato brutale. Al collettivismo forzato si è sostituito l’individualismo selvaggio, quello che fa razzia del bene comune: in 20 anni il 14% delle foreste è stato annientato, 400.000 gli edifici abusivi tirati su. Un vero trionfo d’illegalità, una festa per i traffici delle reti criminali organizzate. “In poco tempo – continua il premier rivolto agli studenti – siamo passati da un mondo in cui tutto era ‘nostro’, ma niente ‘mio’, ad un altro in cui tutto era ‘mio’, ma a nessuno importava nulla di ciò che era di tutti”. La reazione a 50 anni di oppressione. “Come se una famiglia affamata aprisse il frigo e mangiasse in un giorno le riserve della settimana. Risorse importanti sono state distrutte per ingordigia: adesso dobbiamo invertire la rotta”.
Cambio di passo – Alimentata (anche) dall’economia degli abusi, una gigantesca spinta in avanti ha riconnesso l’Albania al mondo. Cominciando dalle infrastrutture: la Tirana- Durazzo chiedeva 70 minuti di percorso, adesso ne bastano 25; la Tirana- Valona voleva 6 ore, adesso sono 2 scarse. E poi l’ingresso nella NATO, l’accesso a Schengen. La candidatura all’Unione Europea. “Le riforme vanno avanti, il progresso del paese è continuo” afferma l’Ambasciatore dell’UE Romana Vlahutin. Certo l’Albania non è Tirana, con i suoi bar chic e i centri commerciali. L’informatizzazione ad esempio si estende a macchia di leopardo: il progresso non ha raggiunto né tutto il paese, né tutti i settori, e a picchi di eccellenza corrispondono sacche di arretratezza, soprattutto nelle zone rurali. E poi rimangono da affrontare questioni essenziali come la tutela sul lavoro, o i salari minimi. Ma il cammino compiuto in 25 anni è impressionante. E negli ultimi tre c’è stata la svolta. Dal 2013 il nuovo governo ha attaccato frontalmente la cultura dell’informalità e l’abusivismo edilizio (radendo al suolo decine di costruzioni illegali), snellito la struttura politico-amministrativa (passando da 365 a 61 municipalità), preso d’assalto il business della cannabis (mandando l’esercito a bruciare piantagioni e magazzini per mille tonnellate di marijuana, valore 5 miliardi di euro). Una profonda riforma giudiziaria è ora all’esame del Parlamento. “Se fosse approvata e messa in atto – continua Vlahutin – sarebbe un chiaro segnale di impegno verso gli standard europei e l’intero processo di integrazione”. “Per decidere di investire in un paese è essenziale la fiducia in giudici, poliziotti e funzionari pubblici – aggiunge l’ambasciatore italiano a Tirana, Alberto Cutillo – questa riforma, e la lotta alla corruzione che la sottende, potrebbero davvero far decollare gli investimenti diretti e rilanciare tutta l’azione del governo”. Rama ha anche normalizzato i rapporti con Belgrado, riuscendo nell’impresa di portare a Tirana un primo ministro serbo. Ma il consolidamento democratico non può prescindere dall’infrastruttura culturale: impresa non facile per un paese passato direttamente da 500 anni di Impero ottomano a 50 di dittatura staliniana, schivando qualsiasi contaminazione del pensiero, dalla rivoluzione francese agli ideali risorgimentali. “Ho visto politici collaborare con i criminali, ma ho anche visto il popolo chiedere conto ai politici – afferma Dorian Hatibi, giovane Direttore Regionale dei Servizi Sociali di Durazzo – Il vecchio premier Sali Berisha è caduto perché condannato col voto: se siamo riusciti a sollevare la testa dopo il caos delle piramidi finanziarie del ’97, vuol dire che anche noi albanesi possiamo liberarci del passato. E guardare al futuro”. Oggi la sfida di Rama è arrestare l’ago della storia albanese, impazzito fra collettivismo e anarchia, e riportarlo verso una società di mercato, sì, ma solidale. Meno strade e più servizi, dunque? Sull’agenda dell’esecutivo, pensioni sociali e riforma dei sussidi si stringono insieme alla lotta al lavoro nero e all’evasione fiscale. Denada Dibra, Direttore delle Politiche del Welfare al Ministero Affari Sociali, non ha dubbi: “Il governo non chiude più un occhio di fronte all’illegalità, grande o piccola che sia. Certo, le riforme avanzano piano, gli ostacoli non mancano; la gente non è abituata, viene da anni in cui tutto era permesso. Non sopporta di sentir parlare di tasse. Ma deve imparare che la parola ‘licenza’ non è un’eresia”.
Migrare a Est, in fuga dalla crisi – E l’Italia? E’ il primo partner commerciale, acquista da sola il 60% dell’export albanese. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto albanese di Statistica rilasciati dall’ICE (Istituto per il Commercio Estero), nel 2014 le imprese italiane con partita iva registrata nel paese erano nel 2.267 : un anno prima, se ne contavano 1.903 (+19%). Grazie ad una flat-tax al 15% e al basso costo della mano d’opera (di qualità), molti produttori stanno addirittura lasciando l’Oriente per trasferirsi sulle sponde adriatiche. L’Albania parla italiano, e non solo perché glielo ha insegnato Iva Zanicchi chiedendo se il prezzo era giusto. Mezz’ora di volo – 20 voli giornalieri, rete aerea su 13 città – il visto si prende all’arrivo, un’impresa si apre in 24 ore. E i migranti non si fanno attendere. Non (più) solo imprenditori avidi di mano d’opera low- cost o ristoratori decisi a tentare la strada della pizzeria. C’è chi apre studi di progettazione e chi di arredamento. Il basso costo della vita attira i pensionati. E poi il paese ha fame di tecnici specializzati, periti informatici, saldatori, ma anche cuochi, medici, managers. E naturalmente operatori di call centers. Certo, gli stipendi sono bassi, dai 300 ai 600 euro al mese (per certi lavori si arriva però anche a 2 mila). Ma la vita da noi è quattro volte più cara. Impressionante il fenomeno dei 600 studenti decisi a giocare la carta albanese: molti cercano una seconda possibilità dopo aver fallito il test di ammissione a Medicina, e si immatricolano alla Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana – ateneo privato con programmi, libri, lingua e docenti italiani – per poi magari imboccare una scorciatoia che li riporti in patria. “Nel nostro paese vivono e lavorano 19.000 italiani”, ha dichiarato a questo giornale Erion Veliaj, Ministro del Benessere sociale e della Gioventù. “Difficile dire quanti siano davvero – afferma l’ambasciatore Cutillo – anche perché c’è una sorta di pendolarismo, la gente va e viene. Dopo 3 mesi è necessario il permesso di soggiorno. Di sicuro è un fenomeno in crescita”. Migrare a est, in fuga dalla crisi. Verso un paese giovane, ottimista, con tanta voglia di riscatto addosso. Un’ Italia degli anni ’60. Lamerica.