Guerre e alluvioni, gelate e trombe d’aria: il Giardino dei Semplici ha condiviso tutto con Firenze, la buona e la cattiva sorte. E solo quando si è accorta di averlo perso, la città si è ricordata di amarlo. Riportandolo a nuova vita. Oggi altri progetti avvolgono l’antico orto delle suore del Maglio: si parla di un ingresso principale su via La Pira, di una entrata congiunta con la sezione di Paleontologia del Museo di Storia Naturale, di un punto ristoro ed accoglienza nell’attuale accesso di via Micheli. Per uno dei luoghi più antichi di Firenze, il futuro è in cerca di spazi.
E’ il luglio 1495. Quando Cosimo I affitta dalle Suore Domenicane quel quadrilatero di cavoli e cipolle, sa esattamente cosa vuole : convertirlo in orto di piante medicinali ad uso degli studenti di medicina. Il motivo? Ingraziarsi i figli dell’aristocrazia; sviluppare un ingranaggio del polo sanitario; aggiungere un tassello al disegno di prosperità per il regno. Sono anni intensi, anche per quel che riguarda la medicina: le vecchie cattedre di lectio simplicium – cioè studio dei testi latini e greci che parlano di medicina simplex, o erba medicinale – vengono trasformate in cattedre di ostensio simplicium: le piante devono essere toccate, osservate, studiate per creare farmaci e composti. Occorrono orti botanici: nel 1543 ne nasce uno a Pisa, nel ’45 a Firenze. D’altronde è proprio qui che 50 anni prima è stato pubblicato il Ricettario Fiorentino, primo codice farmaceutico del mondo, compilato per arginare ‘maghi’ e ciarlatani e ad offrire agli speziali regole precise per la composizione delle medicine. Nell’Horto Simplicium del Maglio, la scienza medica si mette in cammino. Attraversando secoli, fra alti e bassi.
Il periodo migliore arriva ai primi del ‘700, quando Pier Antonio Micheli – fondatore della Società Botanica Italiana – stacca definitivamente la botanica dalla professione medica, conferendogli dignità propria. “Con lui le piante vengono studiate per quello che sono – afferma Paolo Luzzi, responsabile dell’Orto – e non solo per gli usi che se ne possono fare in veterinaria o medicina. Il Giardino diventa centro di studio di fama internazionale”. Ma con la scomparsa di Micheli le cose si mettono male, ed è solo grazie all’Accademia dei Georgofili che la chiusura dell’antica struttura sembra scongiurata. “La storia dei Semplici accompagna un po’ quella della città – continua Luzzi – quasi la riflette: è la storia di un posto che non si arrende mai”. Durante il fascismo viene trasformato in parco pubblico, quasi perdendo le connotazioni di luogo di scienza. Al passaggio del fronte si converte addirittura in cimitero: foto storiche testimoniano la triste riesumazione delle salme, nel 1955. C’è poi l’alluvione, che lo investe d’acqua ma gli risparmia il bitume. E la grande gelata dell’85, che massacra le piante, ma non le piega. Finché arriva la tromba d’aria del settembre 2014 : l’evento più catastrofico nella vita di quello che è oggi diventato una sezione del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze.
“ Quando siamo entrati, non credevo ai miei occhi – ricorda Giovanni Pratesi, direttore del Museo – Un bombardamento non avrebbe potuto fare peggio. Chiamai subito il rettore dell’Università: camminavamo su una coltre di vetri, cocci, rami… Piante secolari erano state sradicate di peso o troncate a metà come fuscelli; i tetti erano scoperchiati, le serre distrutte. Circa la metà del patrimonio arboreo è andata perduta, con danni per oltre un milione di euro.” Ma come spesso succede, è la crisi a generare la rinascita. Firenze (ri)scopre l’Orto Botanico nel momento in cui viene annientato. “Ricordo le prime uscite che facevamo per cercare fondi – interviene Luzzi – c’erano gli anziani che donavano 2 Euro dicendo: ‘Non ho nulla, ma prendete questi…”.
Dover ripartire da zero ha i suoi vantaggi: l’Orto viene ripensato, in certe zone reinventato. Oggi palme e ortensie gareggiano con le felci, mentre 10 punti didattico-scientifici – attracco annuale di migliaia di studenti – fanno lo slalom fra le antiche piante monumentali scampate al tifone, prima fra tutte il Taxus Baccata, conifera piantata nel 1720 dallo stesso Micheli. Forse l’uragano del 2014 ne è la prova, o forse no: ma è la vita stessa dell’orto a dimostrare che il cambiamento climatico è una realtà. “Quando l’inverno era inverno, 30 anni fa – conclude Luzzi – solo la metà delle palme riusciva ad acclimatarsi. Oggi sopravvivono tutte”. Proprio sulle palme si sta realizzando un’intesa fra l’Università di Firenze e un centro specializzato di San Remo: obiettivo, trovare fusti resistenti al punteruolo rosso, insetto-killer che ha già devastato i lungomare italiani dalla Liguria in giù, spogliando piazze e strade delle loro spettinate acconciature. Ricerca è ancora la parola chiave: oggi si possono estrarre antiossidanti dalla pianta del Gogi, o produrre taxolo (usato contro il tumore al seno) dal Taxus. Come in passato i ricercatori del Botanico continuano a inseguire nei vegetali soluzioni contro il male di vivere. Senza dimenticare che l’Orto è anche asilo per piante a rischio di estinzione: l’anno scorso accanto ad un mulino abbandonato di Volognano, è stata casualmente ritrovata la piccola Iris Fiorentina, millenaria matrice del simbolo cittadino. La davano per scomparsa, invece è viva. E adesso al riparo fra le antiche mura disegnate da Cosimo I per portare Firenze nel futuro.