Non rimane niente, neppure le fondamenta. Nel 1828, il sogno di Francesco I viene fatto saltare in aria per realizzare un prato all’inglese: la villa di Pratolino, unica fra le molte tenute della casata, è cancellata dalla Storia. Ma chi dà l’ordine? E perché proprio la dimora – e non l’umile paggeria – viene abbandonata al logoramento del tempo? Il mistero avvolge ancora oggi il luogo più caro al granduca malinconico, quel figlio di Cosimo I che spendeva la vita sui libri. E’ lui a strappare alla montagna un pezzo di terra arido e a costruirci una villa con grotte artificiali, macchinari e artifizi : un paradiso terrestre ricreato grazie all’amico e architetto di fiducia Buontalenti. “Non lo fa per Bianca Cappello, ma per celebrare il suo culto della ricerca interiore”. Di questo è convinta Costanza Riva, ricercatrice, esperta di simbologia e dottrina ermetica. La Riva ha studiato per anni gli scritti di Francesco de Vieri, filosofo e alchimista alla corte di Francesco I. Ed è convinta che il granduca abbia affidato al Parco delle Meraviglie un messaggio potente: la rappresentazione (velata) di un percorso spirituale, che l’Uomo intraprende per sottrarsi alla schiavitù della materia. Un cammino che va oltre la religione, tanto più quella ufficiale, comunque omaggiata nella Cappella del Buontalenti: per questo occultato nei simboli, segreto. Accessibile solo a un ristretto gruppo di seguaci, ma – nonostante la distruzione avvenuta – ancora oggi parzialmente leggibile. Vediamo.
Il percorso va da Nord a Sud, dal buio alla luce. Si parte con Giove, si termina con una Lavandaia ed un Bambino che fa pipì (due statue disperse). Tutta la costruzione – anche teorica – si basa su un elemento chiave, generatore di vita: l’acqua. Siamo nel 1581, e per i contemporanei la tenuta è un prodigio: “La bellezza e la ricchezza di questo luogo non si possono rappresentare con la scrittura” dice Michel de Montaigne. A Nord, la statua di Giove incarna l’opera del Creatore: da qui partono le acque sante raccolte dalle 12 sorgenti di Monte Senario, e incanalate in una sapiente architettura di condotti, vasche e fontane. Ai piedi di Giove (realizzato dal Bandinelli e tutt’oggi visibile) si stende un labirinto di piante – simbolo delle difficoltà della vita in cui si smarrisce l’umanità – con al centro un’enorme monolite emblema di sapienza; oggi spezzato in due concrezioni di spugna testimoni tristi dell’antico splendore. “Dopo aver utilizzato la sapienza per fronteggiare le insidie del mondo e uscire dal labirinto – spiega Riva – l’Uomo in cerca di se stesso si incammina sul Parco degli Antichi, per arrivare al colosso dell’Appennino; capolavoro assoluto creato dal Giambologna”.
Scolpita nella pietra del gigante, è la storia dell’Uomo che prende coscienza di sé. Tre ordini di grotte ornate di pitture e statue sono il trionfo del connubio fra natura, arte e scienza ideato da Francesco: la grotta sotterranea, buia e nera, simbolo dell’io demoniaco di cui siamo prigionieri; quella centrale, bianca e decorata di madreperla; e la più alta, con fonte ottagonale e fiori di corallo rosso, la ‘testa’ del colosso recentemente restaurata, in cui entrano fino a 7 persone. “Contrariamente a quanto si pensa – spiega la Riva – l’Appennino, cioè l’Uomo, non emerge dall’acqua del laghetto che gli sta davanti, bensì si stacca da una montagna che non c’è più, alle sue spalle, al termine di un percorso di risalita fra le grotte. Di rinascita”. E infatti schiaccia la testa di un mostro – ancora visibile – simbolo delle passioni ormai domate. Il mito della caverna di Platone fattosi pietra.
Divenuto prezioso perché consapevole di sé, l’Uomo attraversa il parco degli Uomini Rari e degli Dii (proprio così) Gentili – dove oggi si gioca a pallone – arrivando alla famosa Villa di cui non c’è più traccia. Da non scambiare con la paggeria, attuale villa Demidoff. Al suo interno, Francesco I costruisce un percorso simile a quello del Gigante, un passaggio fantastico attraverso 9 grotte artificiali, culminante nella sala del nettare divino, dove solo 8 persone possono entrare per banchettare ad un tavolo sostenuto da 8 angeli. Di tutto ciò – statue e decorazioni, affreschi e giochi d’acqua, automi mossi da meccanismi idraulici – non rimane niente; solo il busto del Mugnone, punto di arrivo di una scalinata che Maria Demidoff fa ripristinare nel ‘900. “Dobbiamo fare uno sforzo per immaginare come dovesse essere questo posto – commenta la Riva – i pavoni e cigni che gironzolavano, la musica, le piogge artificiali. Era il Paradiso”.
Ma il cammino non è finito. Uscito dall’Appennino, purificato dal passaggio in Villa, l’Uomo padrone di sé ha ora tre strade per arrivare al Sud: quella centrale del Viale degli Zampilli, una passeggiata di 150 metri sotto trionfanti spruzzi d’acqua; il sentiero di destra fatto di amore e misericordia, attraverso la grotta di Cupido (tutt’oggi esistente); e quella a sinistra, il percorso di rigore e giustizia di Giunone e Cerere (gruppo scultoreo conservato al Bargello). Quale che sia la via prescelta, Amore o Giustizia conducono entrambi alle fine del percorso, all’Uomo trasformato : davanti alle statue di un bimbo che fa pipì e di una lavandaia, “donna più forte di un macigno – scrive il De Vieri – più grande del normale”. Che significa? “Per la donna lavare e strizzare i panni vuol dire eliminare la parte emotiva – spiega la Riva – farsi forte, vincere i passaggi lunari. L’uomo invece, se fa il cammino giusto torna ad essere bambino, puro e libero da ogni condizionamento, soprattutto del potere”. Un messaggio troppo scomodo, ancor più in tempi d’Inquisizione. Un parco troppo bello… Ma il Duca muore all’improvviso: non più accudita, l’acqua – generatrice e distruttrice – porta all’otturazione delle tubature, al declino della Villa che si reggeva su grotte sotterranee. Lo spregio con cui viene abbandonata, la dice lunga sui nemici di Francesco. Travolto dai crolli, il messaggio torna occulto, sotterraneo. Fino alla prossima occasione.