Dan Brown la copia nel libro, Ron Howard la usa nel film: ma il copyright della mappa dell’Inferno va senz’altro all’autore, Alessandro Filipepi detto Botticelli.
E’ lui a tracciare su carta ciò che Dante aveva immaginato, lui il più audace interprete delle fantasie del Divino Poeta. E il gioco dell’oca ideato dal regista americano per l’ultimo affanno cinematografico del professor Langdon (Tom Hanks), non poteva immaginare partenza migliore: la pianta utilizzata nella caccia al virus che può sterminare l’umanità, è vera ed effettivamente conservata in un deposito climatizzato del Vaticano.
La dipinge Sandro Botticelli nel ‘400. E’ il più bello dei 102 disegni creati dall’ex orafo per dare – prima volta nella storia – veste grafica alla Divina Commedia. Centodue pergamene, una per ogni canto, più un frontespizio e un Lucifero che occupa il recto-verso di un foglio: uno straordinario album illustrato con la mappa infernale a fare da copertina. Un ‘libro a fumetti’ commissionato da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (detto il Popolano), cugino del più celebre Magnifico. Centodue cartelle piene di ripensamenti, cancellazioni, dubbi: il lato oscuro del luminoso artista. Il tempo disperde dieci disegni, ne salva novantadue, divisi fra la Biblioteca Apostolica Vaticana e il Museo dei Disegni e Stampe di Berlino. Una storia più imprevedibile dell’ansante thriller hollywoodiano.
Infernale mappa di peccatori- E’ il 1481, il Rinascimento veleggia. Botticelli appartiene al circolo neoplatonico foraggiato dai Medici, si nutre di riformata classicità, di miti e allegorie che prendono il volto della “Primavera”, si incarnano nella “Nascita di Venere”. Lorenzo il Popolano, committente di queste stesse opere, chiede all’artista di illustrare il viaggio di Dante. E forse per mostrare al Medici come intende affrontare il lavoro, il pittore realizza su un foglio una sorta di guida ai vari livelli dell’Inferno: la mappa che diventerà frontespizio del libro. Immortalati in una pergamena di pecora, Dante e Virgilio attraversano i vari cerchi della voragine carnale, vorticoso asilo di peccatori alle prese con pene eterne. Usurai e avari, eretici e ladri; Dante sale e scende, ascolta e piange. Parla con Paolo e Francesca, cade a terra svenuto. La raffigurazione è viva, minuziosa. L’assenso del Medici immediato. Nei 15 anni successivi, ritagliando tempo ad altre commissioni – fra cui gli affreschi per la Cappella Sistina – il più elegante fra gli illustratori produce altre 101 cartelle. Botticelli disegna con uno stilo di piombo e aggiunge inchiostro verde o rosso per dare profondità e prospettiva. Procede lentamente, è come ossessionato: Vasari ci dice che non pensa ad altro. “Il pittore si sforza di interpretare col disegno ciò che Dante descrive a parole – spiega Dagmar Korbacher, ricercatrice della Kupferstichkabinett, il Museo dei Disegni e Stampe di Berlino – ed in effetti la sua riproduzione della Commedia è quella più fedele al testo. Fino a quel momento c’erano stati solo codici miniati. Qui siamo di fronte a qualcosa di completamente nuovo: un’opera intera, una graphic novel di tipo moderno”.
Il cuore conquistato dal Savonarola – Con Botticelli, Dante ascende dal Purgatorio al Paradiso quasi volando: nel percorso di liberazione dalla materia, svaniscono i dannati corrosi nel fuoco, le storie da narrare si fanno astratte, impalpabili. Per raffigurare l’amore divino, non resta all’artista che appoggiarsi alle pratiche dell’amor cortese. Ed ecco Dante parlottare con Beatrice, farsene complice. Sfiorandosi appena i due aleggiano graziosamente verso la vetta celeste. “Per la storia dell’arte questi disegni costituiscono quasi un unicum – spiega Paolo Vian, direttore del Dipartimento Manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana – vi è impresso il passaggio del pittore dalla produzione classica a quella più segnata da tormenti religiosi”. Sono le prediche del Savonarola a conquistare il cuore e la mano di Botticelli: a partire dagli anni ’90, il padre della Venere cambia stile, rifugge i miti pagani, si volge ai temi sacri. Diventa austero, inquieto…
Intanto la Commedia illustrata trova compimento. Ed è a questo punto che le cose si complicano. Mentre i gusti cambiano e la fama dell’artista scivola nell’oblio – muore solo e indigente nel 1510 – anche i disegni scompaiono, inghiottiti dalla Storia. Per riapparire centinaia di anni dopo. In due paesi diversi.
Un Lord dissoluto e l’asta d’oro- Nel 1882 il Times di Londra annuncia un evento straordinario: la messa all’asta in Scozia del più importante manoscritto antico mai apparso sul mercato. A vendere il libro – parte di una stupefacente collezione d’arte, dai vasi di Maria Antonietta ai messali di Papa Leone X – è William, 12° Duca di Hamilton, demolitore del patrimonio di famiglia a causa di debiti contratti con corse di cavalli, gioco e altre costose consuetudini. E’ stato suo nonno Alexander – 10° Duca di Hamilton, primo pari di Scozia – a mettere insieme la preziosa raccolta nella dimora di famiglia, l’Hamilton Palace. Per costruire lo scrigno di tesori, il Duca ha saputo appoggiarsi al più importante libraio londinese dell’epoca, James Edward, divenuto suo mentore e fornitore di fiducia. E’ proprio Edward a consigliare al nobile scozzese l’acquisto di un manoscritto fiorentino di grande valore, individuato a Parigi presso Gian Claudio Molini, collezionista e tipografo rinomato. All’inizio dell’800 dunque i disegni di Botticelli sono a Parigi, nelle mani di Molini. Come ci sono arrivati?
“Si possono fare solo ipotesi – spiega Korbacher – Molini era fiorentino, potrebbe averli comprati a Firenze e portati in Francia. Oppure potrebbero essere stati donati direttamente al Re di Francia dal proprietario, Lorenzo il Popolano. Si sa che questo ramo cadetto sta dalla parte dei francesi quando invadono Firenze nel 1494: Lorenzo potrebbe aver utilizzato i disegni come regalo per ingraziarsi Re Carlo VIII o il successore”. Sia come sia, il Duca Alexander si convince di avere un’occasione a portata di mano, e si decide per l’acquisto. Le preziose pergamene – rilegate da Molini – passano da Parigi a Londra e poi atterrano in Scozia. Dove William, lo sciagurato nipote del duca, decide di liberarsene nel 1882 insieme al resto dei tesori del nonno. Ed ecco entrare in gioco Berlino.
Le pergamene arrivano in Germania – E’ lo storico dell’arte Friedrik Lippmann – l’appassionato curatore della Collezione grafica dei Musei Statali Berlinesi – ad intravedere l’affare. Non appena sa della straordinaria vendita degli Hamilton, decide di agire: i disegni di Botticelli sarebbero un bel colpo. Lippmann riesce a convincere il governo tedesco, che si fa avanti con un’offerta sostanziosa. Ma l’avido Duca rilancia: se Berlino vuole le pergamene di Botticelli senza partecipare all’asta, deve aggiudicarsi tutta la collezione. E così sia. La Kupferstichkabinett acquista l’intera raccolta Hamilton, per la parabolica somma di 80.000 sterline (circa 10 milioni di EUR). Il 25 ottobre 1882 il governo tedesco versa l’importo per intero, l’asta non ha luogo; e il catalogo diventa la bozza dell’atto di cessione. Qualche giorno dopo, alcune navi si staccano dalle coste britanniche alla volta della Germania: l’intera raccolta – oltre 700 manoscritti – lascia le mani (bucate) dei Duchi scozzesi per entrare a far parte della collezione pubblica tedesca. Ma nelle casse di zinco ci sono solo 85 cartelle a firma Botticelli: che fine hanno fatto le altre 17?
Una Regina esiliata a Roma – Torniamo a Parigi, nella bottega del Molini: prima di vendere agli Hamilton, il collezionista stila l’elenco delle pergamene. Sono 85. Il fiorentino non ha mai avuto né la mappa, né altri 16 disegni, tutti relativi all’Inferno. “La collezione è stata divisa: ad un certo punto della Storia – afferma Korbacher – probabilmente già nel ‘500, due nuclei si divaricano e prendono strade diverse. D’altronde è pratica corrente: quando un proprietario muore gli eredi non sanno come spartire ciò che lascia, e così lo vendono. Oppure lo dividono”. E’ quanto succede alla graphic novel botticelliana: nel 1632, sette pergamene – inclusa la mappa – emergono nella raccolta dei collezionisti parigini Paul et Alexandre Petau. Poco più tardi, è nientemeno che la Regina Cristina di Svezia a mettere le mani sui disegni. Ma Stoccolma non è l’approdo finale. Quando la sovrana – dopo una grave crisi religiosa – si converte al cattolicesimo, è costretta ad abdicare e a trasferirsi a Roma; i manoscritti arrivano così nella Città Eterna. E’ il 1690 quando l’ex sovrana li cede in blocco al Vaticano. Da allora, le sette pergamene di Botticelli – mappa inclusa – trovano asilo nei sotterranei climatizzati della Biblioteca Apostolica. Ma… mancano all’appello ancora dieci cartelle.
“Dubito che esistano ancora – commenta Paolo Vian – perché la notizia sarebbe probabilmente emersa, anche se fossero in collezioni private. Potrebbero essere finite malamente, come moltissime altre cose. Quanto oggi custodiamo, non va mai dimenticato, è solo il piccolo relitto di un grandioso naufragio”. Un naufragio che flagella l’Europa per secoli. La Commedia illustrata di Alessandro Filipepi supera frontiere, scavalca mari, attraversa guerre, incendi, rivoluzioni. Viene divisa, dimenticata, scambiata; contesa, nascosta. Dispersa. Il suo affiorare fino a noi dopo un viaggio di 500 anni attraverso i cerchi infernali della Storia è – tutto sommato – un miracolo.