Viviamo – vivevamo? – nella civiltà della scrittura. Sono le carte a custodire il divenire umano. Sono le lettere, gli atti, i contratti: si chiamano fonti, attraversano i secoli fra impalcature e scaffali. Poi un giorno una mano le trova, le spolvera, ne interpreta i significati. Ecco cos’è un archivio: una fabbrica di Storia. Un labirinto di documenti dove chi si è perduto può riannodare i fili di una memoria familiare sepolta. Un reticolato che custodisce i carteggi, le ricordanze, la narrazione dell’io: il moderno profilo Facebook.
L’archivio più frequentato d’Italia – Si trova a Firenze l’archivio più frequentato d’Italia, 18.000 le presenze annue in sala studi. Con 80 km di documenti, l’Archivio di Stato fiorentino incarna una delle perle – sconosciute – della città: il cuore della sua memoria storica. Nasce nella prima metà dell’800, quando è proprio lo studio della storia a farsi largo. Fino a quel momento, gli archivi sono segreti: ogni amministrazione si tiene strette le carte, ‘arsenale’ della propria autorità. Ma gli ideali della rivoluzione francese, innestati sulle baionette napoleoniche, ribaltano il mondo. E’ un terremoto culturale dall’onda lunga, inarrestabile. “Gli intellettuali di tutta Europa cominciano a fare pressione – spiega Francesco Martelli, vice direttore dell’Archivio di Firenze – chiedono l’apertura delle fonti, l’accesso ai documenti. Lo sguardo sul passato cambia, e anche Leopoldo II di Toscana deve piegarsi”.
Materiale organizzato in base alla storia di chi lo produce – Così nel 1852 gli Uffizi si aprono per accogliere tutti i depositi sparsi per la città. Ma come orientarsi, quale criterio applicare per fare ordine? Il primo direttore, Francesco Bonaini fa una scelta cruciale per l’archivistica italiana: organizza i materiali in base all’origine e alla storia dell’ente che li ha prodotti, la famiglia o la magistratura, il convento o l’istituto. Inutile insomma cercare notizie su un singolo argomento: per esplorare l’Arno, bisognerà consultare le filze di tutti i soggetti che del volubile fiume si sono occupati nel tempo. Si chiama metodo storico, si basa sulla cronologia, assicura il legame col contesto, ed è ancora oggi alla base della gestione degli archivi del Bel Paese. In più, fa bene alla ricerca: forte di una riconosciuta identità culturale, l’Archivio storico fiorentino continua a crescere, riordinando le buste che via via arrivano con l’Unità d’Italia, la soppressione dei conventi, l’ampliamento degli uffici. Archivio creatura viva. Quando il volubile fiume impazzisce, nel 1966, gli Uffizi sono i primi a soccombere, e sette chilometri di documenti finiscono sott’acqua. E’ tempo per una nuova sede, che nasce vicina al centro (ma non lontana dall’Arno!), su quella cinta muraria spianata per far posto al sogno di Firenze capitale. Nel 1989 le casse con la memoria cittadina migrano verso la nuova ospitalità di viale Giovane Italia.
Una pergamena longobarda del 726 – Oggi, scaffali di mezzo chilometro alloggiano atti che partono dal 726 dopo Cristo – una straordinaria pergamena longobarda – e arrivano fino ai giorni nostri. Accanto ai privilegi di Federico Barbarossa e alle bolle di Bonifacio VIII, alle lettere di Michelangelo e a quelle di Machiavelli, c’è il Patto di Famiglia con cui Anna Maria Luisa, l’ultima dei Medici, aggancia a Firenze il patrimonio della dinastia; c’è l’originale del codice leopoldino che nel 1786 abolisce la pena di morte per la prima volta al mondo; ci sono i risultati del plebiscito che nel 1860 unisce la Toscana al Piemonte. Oltre 600 i fondi accumulati a mediare fra passato e presente: le pergamene, i registri delle grandi famiglie, le carte degli enti, le accademie, gli istituti. E quando nel 1978 la legge abolisce i manicomi, arriva anche il fondo di San Salvi, in coda alla documentazione medioevale iniziata col carcere delle Stinche. Fiore all’occhiello, l’archivio mediceo, ereditato dai Lorena: chiunque al mondo si occupi di Rinascimento, di qui non può non passare.
Le prove del duplice assassinio dei Medici – Ecco dunque le (autografe) dichiarazioni dei redditi del 1427, elenco di proprietà, creditori, e bocche da sfamare che i capofamiglia fiorentini – primo fra tutti Cosimo il Vecchio – offrono alla Repubblica per mettere in piedi un equo sistema di prelievo fiscale. Ed ecco l’albero genealogico dei Medici, compilato nel 1712 su commissione del Gran Principe Ferdinando. Qui, il racconto che molti studiosi bollano come fantasia popolare – relegato nell’angolo della propaganda antimedicea – trova invece inedite conferme: in un ramo dell’albero si legge che il principe Giovanni viene davvero ferito a morte dal fratellino Garzia durante una battuta di caccia a Pisa, nel 1562; e che è il padre Cosimo in persona – travolto dall’ira – a ferire il figlio omicida con uno stiletto, causandone la morte…
Una civiltà giuridica basata su un mare di carta – Fabbrica di Storia, custode della memoria, certo. Ma un archivio ha anche una sua funzione civile, è strumento di vigilanza sul potere; termometro dei rapporti fra territorio, democrazia e diritti. “Ultimamente – continua Martelli – siamo subissati dalle richieste di emigrati in Sud America, che devono dimostrare la propria origine italiana. Possiamo aiutarli anche perché conserviamo gli atti dei notai toscani a partire dal 13° secolo, le compravendite, i testamenti, le donazioni: qualunque documento redatto in forma pubblica ”. E’ questo mare di carta a fare della nostra una civiltà giuridica: in nessun altro territorio italiano c’è una tale abbondanza di atti notarili. “Sempre, quando fai fare alcuna carta, abbi un tuo libro – scrive il mercante Paolo al figlio a metà ‘300 – e scrivivi suso il dì che si fa, e il notaio che la fa, e testimoni, e ‘l perché e con cui la fai. Que, se tu o ‘ tuoi figlioli n’avessero bisogno, se la ritrovino…. E tiellati nella cassa tua compiuta…”. Siamo gli eredi di una società mercantile e manifatturiera, che di scrittura nutre se stessa. E – soprattutto – i propri affari.