Mette al mondo nove figli, vive nell’ombra, muore giovane: Clarice Orsini, ‘rosa spinosa’, fa’ di tutto per essere una buona moglie per Lorenzo de Medici. Che non la ama, e anche durante le sue gravidanze, continua a comporre sonetti d’amore per Lucrezia Donati. Ma la rispetta: nessuna amante prenderà mai il posto della consorte. Neppure Firenze la ama, come succederà dopo di lei alle altre spose forestiere sbarcate per impugnare il talamo più ambito della città. Ma Clarice sa stare al suo posto, è donna di buon senso, religiosissima, di una moralità castigata: non brilla, ma non è per questo che è stata importata da Roma. Deve dare una discendenza al casato di Cosimo pater patriae, dell’astro nascente Lorenzo, ed è quel che farà: i suoi fianchi robusti saranno generosi di figli. Ma soprattutto, la sposa romana deve rispondere alle ambizioni della famiglia: il suo nome è il trampolino che lancia la stirpe toscana lontano dalle rive dell’Arno, aprendo la strada ai due Papi Medici.
E’ il 4 giugno 1469 e Firenze festeggia il matrimonio dell’erede di Piero, destinato a succedergli in pochi mesi. In 3 giorni i fiorentini consumano 150 vitelli e 4.000 capponi, oltre a 17 quintali di dolci. Lorenzo e Clarice neppure si conoscono: è stata la madre di lui, Lucrezia Tornabuoni, a tirar fuori dal cilindro la giovinetta, spingendosi personalmente a Roma per la scelta. “Detta fanciulla mi pare di ricipiente grandezza, molto bella e bianca”, scrive al marito confinato a Firenze dalla malattia. Di questa fanciulla ‘che non va col capo ardita come le nostre’, non sappiamo nulla, neppure la data di nascita. Lorenzo si piega senza troppe storie: “Io Lorenzo tolsi donna Clarice, figliola del signor Jacobo Orsini, ovvero mi fu data”. Il rampollo di casa Medici non è chiamato ad occuparsi troppo della giovane sposa, che rimane intimamente estranea al suo spirito, ai suoi interessi. Al ruolo di padrona della casa più feconda del Rinascimento italiano.
Nella dimora di via Larga – opificio del pensiero neoplatonico, cantiere delle arti – Clarice vive poco. Nei vent’anni passati accanto al marito, la Orsini si trova quasi confinata con i figli nella villa di Cafaggiolo, dove Lorenzo – non amando la caccia – si fa vedere di rado. E tuttavia lei lo aspetta. Dal Mugello gli manda la selvaggina per le cene con Marsilio Ficino e compagni: “Mandovi un fagiano et una lepre – scrive – perché mi pare vergogna a mangiarli qui fra noi e noi”. Lorenzo si nega, ha una città da tenere in pugno, la bellezza da promuovere. Una banca da spingere sul sentiero di un magnifico declino. Lei insiste: “Avrei tanto caro fussi venuto a goderle qui con essi noi, che v’abbiamo aspettato già son tre sere infino alle tre ore”. Ma niente, altri sono i pensieri che ingombrano la mente del principe-poeta: Firenze è la sua personale opera d’arte. Poi ci sono i guai con il Papa, e la rivalità con i Pazzi. Sopravvissuto alla congiura del ‘78, il figlio di Piero si impegna in una vendetta rapida e brutale, che rafforza il suo dominio sulla città. Per poi gettarsi nella tana del lupo, a Napoli, dove negozia personalmente la pace. Re Ferrante è sedotto, Firenze salva. Lorenzo diventa Magnifico. Poco importa se il banco mediceo è in rovina, e deve chiudere – in tre anni – le filiali di Milano, Avignone, Bruges, Londra, Venezia. In fondo Lorenzo ha studiato per diventare Signore di Firenze, mica per occuparsi della banca di famiglia. Adesso poi, non c’è più bisogno di soldi per governare, basta il carisma. Da Cafaggiolo intanto, Clarice insiste con la cacciagione. “Mandovi queste due lepri, acciochè per mio amore con esse vi ricordiate di me”. Lui continua a scrivere poesie alla Donati.
Avulsa dalla straordinaria energia intellettuale del marito (e del suo circolo), refrattaria alle lettere e alla mondanità, per riempire il vuoto Clarice va spesso a Roma a trovare la famiglia d’origine. Diversamente dalla suocera Lucrezia – intellettuale colta e abile tessitrice di rapporti – la moglie del novello statista si limita a chiedere favori per i fratelli e ad intercedere per le congregazioni religiose cui è legata. Sa qual è il suo posto e lì si ferma, senza immischiarsi o pretendere spazi non propri. Intano continua a mettere al mondo figli legittimi, per educare i quali Lorenzo sceglie il Poliziano e il Pulci: artisti, favoriti di Lucrezia, ma non pedagoghi. Madre e tutori si detestano, e tutti si rivolgono al Magnifico per lamentarsi. “In quanto a Giovanni – scrive Poliziano a Lorenzo – sua madre l’occupa a leggere il Salterio. Cosa che non posso in nessuna maniera lodare”. I salmi di San Girolamo o i lascivi scrittori latini? Il duello sul sistema educativo arriva allo scontro aperto e al licenziamento del poeta intellettuale: Clarice caccia da Cafaggiolo il Poliziano, preferendo un sacerdote come tutore. Lorenzo non batte ciglio, salvo accogliere il fuggitivo in via Larga. Clarice ha vinto: Giovanni – futuro Leone X – studierà il Salterio. Per lui Lorenzo corteggia il nuovo Papa, cercando le rendite ecclesiastiche – e la porpora cardinalizia – che traghettino la famiglia fuori dalla risacca finanziaria. Intanto le prediche di Savonarola spogliano la cristianità, mentre Clarice mette in piedi le nozze del figlio maggiore Piero con la cugina Alfonsina. Soffre già di una grave malattia polmonare, che se la porta via di lì a poco, 35 anni da compiere. Ancora una volta Lorenzo è lontano, stavolta alle terme. Non torna neppure per i funerali. Decide di togliere un divieto sulle festività pubbliche, in vigore dall’epoca della congiura dei Pazzi: strano modo di portare il lutto. Parlando di Clarice, Lucrezia aveva scritto al marito Piero: “E’ di gran modestia, e faremo di ridurla presto ai nostri costumi”. Ma ciò non avviene. “Clarice non si fa ‘addomesticare’ – scrive Piero Bargellini in un saggio – e le dolcezze di Palazzo Medici le restano estranee. Mantiene il suo carattere di romana, ferma e dura”. “Vultui suavis, aspera manui /Dolce all’aspetto, aspra al tatto” recita il retro di una medaglia sulla quale la sposa del Magnifico ha il simbolo di una rosa spinosa. Donna di retrovie per il più ingombrante dei coniugi, se Clarice aveva qualche spina, di certo il Magnifico non si è bucato.
Il problema di Clarice, come di altri personaggi storici, è che si conoscono poco e quel che non si sa, viene colmato da racconti di fantasia e speculazioni senza fonti su cui si basano articoli come questo.
C’è poi il solito fenomeno della legenda metropolitana risultato della manipolazione ed esasperazione di alcuni fatti veri decorati da molti elementi fantastici.
Esempi:
1) il fatto che Lorenzo fu criticato da alcuni nobili fiorentini per aver sposato una forestiera romana, unito al fatto che Clarice aveva avuto un’educazione diversa e proveniva da una famiglia con molte figure religiose è diventato: “Clarice era bigotta e odiata da tutti i fiorentini e anche lei non li sopportava”.
In realtà, era stata accettata e ricevette tutti gli onori del caso da ‘first lady’, anche fuori da Firenze quando viaggiava e l’accoglievano con feste in suo onore. La gente spesso andava da lei a chiedere aiuto al marito e vi sono lettere che attestano il fatto che lei chiedeva benevolenza anche per conto di persone semplici (esempio un ragazzo che era a servizio di Lorenzo ma venne licenziato per un errore, con grande disperazione della madre. Clarice scrisse al marito pregandolo di ripensarci e dargli un’altra possibilità)
2) il fatto che lei osò scontrarsi con Poliziano ha alimentato le congetture di molti che hanno cominciato a dipingerla come donna superiore, presuntuosa, e che odiava gli amici di lui e la sua cultura. In realtà, ebbe solo l’ardire di essere una donna del 400 che voleva rispetto come moglie e madre da un worshiper del marito che evidentemente (se il tono delle sue lettere è indizio) non aveva avuto. Per il resto, l’idea che non andasse d’accordo col mondo di Lorenzo in toto e tutte le persone a lui care e vicine è solo una grossa congettura senza prove. Anzi, dalle fonti vi sono indizi che invece alcuni suoi amici le piacevano e si fidava di loro per farsi scrivere lettere. Coloro che erano vicini al marito hanno sempre parlato di lei con rispetto e in certi casi anche ammirazione.
3) il fatto che Lorenzo dovette mandare moglie e figli via per un pó a causa di attentati e peste è diventato: “Clarice preferiva vivere in campagna ed al marito non interessava”. Invece lui sentiva la mancanza della famiglia e non amava la condizione di non poter passare più tempo con loro, cosa che cercavano di colmare mandandogli spesso notizie su moglie e figli oltre che rassicurazioni che stavano bene. L’affetto che provava per la moglie ed i figli è indisputabile, pur avendo solo una minima, piccolissima, parte delle tante lettere che scrisse.
Anche quella parte del suo diario dove Lorenzo dice che Clarice gli fu data in moglie (che è solo espressione dell’ingenuità tipica del tempo), guarda caso si omette sempre il pensiero suo successivo dove dice che hanno avuto dei bambini e prega Dio di proteggerla da ogni male e che resti con loro a lungo.
Mi sono sempre chiesta se dietro questa apparente sbadataggine, anche da parte di storici, nel dimenticare di menzionare proprio le fonti che mostrano l’affetto che lui aveva per la moglie ed i figli, vi sia proprio l’intento di promuovere una certa immagine di Lorenzo nel privato.
Davvero singolare poi il fatto che se da un lato, si da tanto per scontato e si promuove l’amore per una (la Donati) solo per la presenza di poesie di amor cortese scritte da lui a 16 anni e che non possono, se si conosce il genere, provare l’esistenza di una relazione vera (anche perché non ci sono lettere d’amore o azioni da ambo le parti che dimostrano qualcosa di concreto, anzi si ignora, per esempio, che lui aiutò Ardinghelli a sposare la Donati e farlo tornare dall’esilio), dall’altro si ignora del tutto l’affetto fra moglie e marito che invece traspare dalle fonti.
Anche il fatto che lui non ebbe amanti o figli illeggittimi, in un’epoca dove era normale averne, non fa neanche prendere in considerazione l’idea che tutto sommato ci tenesse alla moglie.
È quasi grottesco.
Madonna Clarice sarà stata anche una rosa nell’ombra ma non doveva essere indifferente visto che, come la madre di Lorenzo disse in una lettera, lui l’aveva vista a Roma durante uno dei suoi viaggi e gli era piaciuta quanto basta ad approvare il matrimonio subito. 10 figli con una che non ti piace e con cui non hai intimità non li fai.
Si, non andò al funerale etcetera ma non perché era in vacanza a divertirsi ma perché era malato. Nelle sue lettere parlava in tono preoccupato della moglie. Aveva già rimandato la cura che doveva fare per la sua di condizione e Clarice morì, inaspettatamente, proprio in quell’unico momento dove il medico lo convinse a spostarsi. Nel 400 non c’erano aerei o treni, non avrebbe mai potuto tornare in tempo. A cosa sarebbe servito poi? Il dolore e ‘lutto’ di una persona non si vede da questo ma se proprio vi servono indizi, leggetevi quel che lui scrisse al Papa quando gli comunicò la morte della moglie.
Ve la voglio riportare quella lettera il cui tono e disperazione sono tutto fuorché scontati per un uomo di quel tempo, ma saranno sicuramente di facile comprensione per tanti, anche del nostro tempo, che rivedranno se stessi nelle sue parole..
E forse vedranno anche Clarice in questa piccola amorevole descrizione di chi la conosceva come noi non potremo mai:
«Troppo spesso sono costretto a dare solicitudine, e molestia a V. Beatitudine per i casi, che tutto giorno ne prepara la fortuna, e la divina disposizione, a la quale, come non è possibile resistere, così sarìa conveniente, che ciascuno li acquiescessi, e pazientemente sopportassi quello, che dà la sua bonità così dolce, come amata. Ma la morte della Clarice mia carissima, e dolcissima consorte nuovamente successa me è stata, ed è di tanto danno, pregiudicio, e dolore per infinite cagioni, che ha vinto la mia pazienzia, ed obdurazione nelli affanni, e persecuzioni della fortuna, la quale non pensavo, che mi potessi portare cosa, che mi facesse molto risentire. E questo, per essere privato di tanto dolce consuetudine, e compagnìa, certamente ha passati i termini, e mi ha fatto, e fa risentire tanto cordialmente, che non truovo luogo. Pure, come non resto pregare nostro Signor Dio, che mi dia pace, così ho ferma speranza nella sua bontà infinita, che porrà fine al dolore, e non manco a tante spesse visitazioni, quali in simili amarezze me ha fatte da qualche tempo in qua. E quanto io posso umilmente, di cuore supplico a V. B., che si degni di fargliene simili preci, le quali so quanto siano per farmi giovamento. Ed a quella, ed a’ suoi santi piedi umilmente mi raccomando.
– Vostro Devoto servitore,
Lorenzo de Medici »
Fonte: https://books.google.it/books?id=-IhCAAAAcAAJ&vq=Pagina%2028&hl=it&pg=PA18#v=onepage&q=Clarice%20&f=false
Aggiungo, sulla Donati visto che viene menzionata.
Gossip a parte e fonti alla mano, sappiamo che lei fu sua dama di amor cortese quando lui era ragazzo fin quando sposò la Orsini e quel gioco di ruolo finì. Tant’è vero che neanche gli amici di lui la menzionano più nelle lettere; riaccompare nelle fonti solo anni dopo quando Clarice fece da madrina a suo figlio.
Ho letto alcuni addirittura darle il ruolo di consigliera politica di Lorenzo (???) e colei che scelse il tutore dei figli (questa poi..). Non so da quale romanzo hanno preso queste informazioni, ma del resto in un mondo dove si è dovuto discutere fino alla nausea sul fatto che ‘il codice DaVinci” è un romanzo e non un saggio storico, non stupisce che anche la storia dei Medici si confonda con quella di.. qualcun altro.
Ad ogni modo, quel che Lorenzo invece fece dopo, che viene estrapolato fuori contesto e riportato male da molti, fu raccogliere i sonetti che aveva scritto da ragazzo e quindi anche quelli per la Donati. Non c’è niente di male o strano in questo, ma non c’è nessun indizio che lui l’amasse solo per quello o avessero una tresca amorosa in corso, per non parlare di lei che alcuni speculavano fosse stata, da giovane, solo lusingata ad avere le attenzioni del ragazzo più ricco della città. È comunque improbabile che Lucrezia nella sua posizione ci tenesse a ricoprire il ruolo di amante. Insomma, probabilmente questo grande (esasperatamente platonico, Petrarca docet) amore tragico interrotto da un infame destino tanto romanticizzato da tanti era una cosa ben diversa e nessuno tentò il suicidio quando finì. Per loro fortuna, direi.
Il fatto però è che forse la Donati era nell’ombra anche più Clarice: la vera Lucrezia è scomparsa quando era ancora in vita, sostituita da quella figura femminile idealizzata e fantastica dei versi che non ci dice niente di lei perché non è veramente lei. Non è neanche tanto semplice, ad un certo punto, capire quali versi erano davvero dedicati a lei o forse altre dame accomunate da quegli stessi canoni di bellezza e ideali in voga fra Lorenzo e i suoi contemporanei. Perfino quel ritratto di Botticelli fatto passare per un suo ritratto non è per niente detto che sia davvero il suo volto quindi neanche quello abbiamo. Nessuno, ancora oggi, parla davvero della donna vera. Ogni articolo su di lei (come su Clarice e altre del resto) è un continuo di racconti su un personaggio più vicino alla fantasia ed ad un IDEA che alla realtà. Chi ha fame di sapere e conoscere questi personaggi davvero non ha speranze.
Commento veramente ottimo e che condivido in pieno, anche se aggiungo che, comunque, non è solo la narrazione storica (a cui però perdono molto, un romanzo è e dev’essere profondamente diverso da un saggio accademico, anche solo per il fatto di dover seguire un’unica versione anche in presenza di fonti contraddittorie, sta al pubblico tenerlo a mente) o la storiografia “da domenica” che cade in certe tendenze, ma anche quella ufficiale, scritta da professori titolati e riconosciuti.
Comunque, penso che la verità, ammesso che si possa parlare di verità nel ricreare le storie di persone morte da secoli a partire da quel che rimane, non stia nemmeno nel mezzo, ma vari in base a chi la chiedi e a cosa vuole dimostrare, e in base a questo si leggono le fonti. Probabilmente alcuni la vedevano veramente come una bigotta e superba, altri le erano indifferenti, altri la apprezzavano. è vero che la sua morte passò un po’ in sordina per i fiorentini, ma da qui a dire che tutta la città la odiava ce ne passa.
Però non sono sicura che il numero di figli sia anche misura dell’amore, almeno non sempre, non all’epoca.
Grazie dell’illuminazione riguardo al rapporto di Lorenzo con la moglie in quanto nn avrei pensato che la sensibilita’di Lorenzo escludesse quasi completamente la moglie Clarice!
Grazie Ninetta, le sue precisazioni sembrano essere davvero frutto di studio approfondito e per chi legge una confortante illuminazione.
Grazie Ninetta per il tuo bellissimo e curatissimo commento.
Grazie, non sapremo mai la verità, ma per lo meno, facendoci luce con documenti storici, non diamo credito a ricostruzioni romanzesche. Non mi fiderei molto di quanto scrive al Papa, ma 10 figli da una donna casta e pia e nessun carteggio riguardo amanti, in un periodo nel quale non era questo un fatto da tener così riservato, raccontano abbastanza da farsi un’idea dei due coniugi.
Perché non dovresti? Era una lettera privata, a un papa che non era né parente né altro, non aveva ragione di mentire così spudoratamente in un’epoca di matrimonio combinati dove nessuno avrebbe inarcato troppo il sopracciglio nel vedere un marito o una moglie indifferenti alla dipartita del coniuge.
Volevo info sulle fonti ,sono curiosa di conoscere meglio questa storia, anche perché su internet leggo sempre la stessa storia, cambiando solo il numero dei figli . Grazie