Se abbiamo la Venere di Botticelli è grazie a lei. Se custodiamo il Giorno e la Notte di Michelangelo o il David di Donatello, lo dobbiamo al suo acume. Se ogni anno milioni di turisti affollano gli Uffizi o Palazzo Pitti, è perché lei – Anna Maria Luisa, l’ultima dei Medici – non potendo partorire un figlio, dà alla luce una visione: che nulla dei tesori di famiglia “sia trasportato e levato fuori dalla capitale”. Che quadri e statue, biblioteche e gioielli di una dinastia ormai esausta, rimangano in città per “conservare l’ornamento dello Stato, l’utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei forastieri”. E’ Maria Luisa a regalarci la città che abitiamo e che splende nel mondo. E’ lei che – non potendo succedere agli sciagurati fratelli alla guida del regno, e neppure restituire il ducato ad una Repubblica cittadina – contratta con i nuovi sovrani stranieri il ‘Patto di Famiglia’, singolare accordo giuridico destinato a (ri)mettere il tesoro mediceo nelle mani della città. L’accordo nasce nella volitiva testa di questa principessa degna erede degli avi: lo vuole fortissimamente, lo negozia e porta in fondo contro ogni difficoltà diplomatica. Quarant’anni prima di Pietro Leopoldo, è Maria Luisa de Medici a mettere il bene comune al centro dell’azione politica.
Lei nasce bella e di animo forte. E’ il 1667. La madre – la capricciosa Margherita Luisa d’Orleans – non avrebbe mai dovuto lasciare la Francia: detesta l’uomo che le hanno dato in sorte, i figli che le maturano in grembo, la ‘misera’ città che la rinchiude. Così se ne torna in Francia. Sarà la nonna Vittoria della Rovere a crescere la nipotina, che “più avanza con l’età, più imbellisce”. Maria Luisa – prediletta del padre, Cosimo III – è intelligente e vivace, cavalca come un uomo, va a caccia e spara. Ma ama anche la musica, conosce il latino; assorbe il bello in cui vive. Lunghe le trattative per maritarla: prima si parla del re del Portogallo, poi del Delfino di Luigi XIV. Ma i forzieri di famiglia sono vuoti, la dote è scarsa. Il valzer delle alleanze si volge verso l’Austria. E’ l’imperatore in persona a fare il nome di Giovanni Guglielmo di Sassonia, Elettore palatino del Reno, fratello dell’imperatrice. Giovanni non è bello, ma è uomo di cultura, e soprattutto sprizza una sorridente serenità capace di regalare a Maria Luisa la pace mai conosciuta. E’ il 1691. Nelle lettere da Dusseldorf, lei si dichiara la “sposa più contenta del mondo”. E’ vero che ha nostalgia di casa: ““Sono stata a Colonia – scrive – ma a voler che queste città paressero belle, bisognerebbe non essere nata a Firenze”. Eppure nei palazzi tedeschi assediati dal ghiaccio, trova una liberazione dalle trame di corte, la follia della madre, la depressione del padre, i pianti della nonna, gli scandali dei fratelli, e la minaccia sempre presente dell’estinzione della dinastia…. “Qui si sta con molta quiete e unione, e sempre cresce l’affetto dell’Elettore verso di me”: Maria Luisa e Giovanni sono una coppia affiatata, lei dà impulso al collezionismo familiare, lui si fa attento mecenate. Molti anni scorrono quieti a corte, fra musica e gite in slitta, caccia e balli. Unica ombra: la sterilità. L’Elettrice prova di tutto, inclusi i bagni termali ad Aquisgrana. Ma niente da fare, né la principessa né i fratelli Ferdinando e Gian Gastone, giù a Firenze, riescono a generare un erede. A nulla vale il disperato tentativo del granduca Cosimo di far gettare il cappello cardinalizio al fratello minore Francesco Maria, per coniugarlo alla giovane Eleonora Gonzaga: il tanto atteso ‘cuginino’ non nasce. La stirpe è condannata.
Ed ecco Maria Luisa tornare a casa: è il 1716, l’Elettore palatino se ne va per un problema di cuore, lei decide di riprendere il posto accanto al padre, che ha già perso il figlio maggiore ed il fratello. La principessa riabbraccia così Firenze: per qualche anno tenta di legare il patriziato fiorentino alla famiglia, e diviene regolatrice del Consiglio. Un ruolo politico, il suo, forse l’ultimo tentativo di legittimare nei fatti la propria candidatura alla guida del regno. Ma niente da fare, nessuno sovrano europeo ha mai preso seriamente l’ipotesi che a regnare possa essere la (sterile) figlia del Granduca: quando Cosimo muore, il depravato Gian Gastone sale al trono. E mentre Maria Luisa si ritrova relegata a Villa La Quiete, sono le guerre – e le paci – in continente a decidere il destino della Toscana. Austriaci o Spagnoli? Il Granducato è promesso a Don Carlos, ma alla fine è il vento austriaco a soffiare più forte, e i fiorentini tornano ad essere sudditi del Sacro Romano Impero. Gian Gastone è morto da neppure due settimane (è il luglio 1737) e le insegne medicee scendono dalla porta di Palazzo Vecchio, per far salire quelle di Francesco Stefano di Lorena. Da ora in poi gli ordini vengono da Vienna.
Rientrata a Pitti, la stanca e malata vecchia signora si stringe in un’ala del palazzo. E mentre amici e consiglieri si prostrano verso il nuovo signore di Firenze – rappresentato dal principe di Craon e dalla sua cricca – l’Elettrice trova la forza per inventarsi l’atto destinato a lasciarla nella Storia: i Lorena saranno solo ‘conservatori’, non potranno svuotare la città dei suoi tesori, dei quadri e delle statue, dei cammei, i libri, le antichità etrusche ed egiziane, le porcellane, gli arazzi. Questo regalo fa l’ultima dei Medici alla città, continuando fino alla morte a riordinarne le collezioni d’arte. Con lei, il libro di famiglia si chiude: dopo 300 anni di potere, i Medici si estinguono. “Datemi un popolano qualunque – aveva detto Cosimo il Vecchio – ed io con pochi metri di drappo rosso, ne faccio un gentiluomo”. Stirpe di commercianti fatti banchieri e convertiti in principi, mecenati per proprio diletto più che per pubblica utilità, questi mercanti ammantati in panno rosso hanno cambiato il corso della Storia, accendendo commerci e intrighi, stimolando prosperità e feroce dissenso. Hanno finanziato il Rinascimento, innalzato un Regno e scagliato la Toscana nel firmamento degli stati europei. Ma l’antico ingegno dei più lungimiranti si è disciolto nel bigottismo vacuo delle ultime generazioni. Il guizzo di Maria Luisa – in qualche misura – tenta di pareggiare i conti. Stroncata da un tumore, l’Elettrice chiude gli occhi nel febbraio del 1743. E’ Carnevale, e i fiorentini l’accompagnano all’ultimo riposo brontolando, perché il corteo funebre ha cancellato il corso mascherato. Così, è Firenze.