LUCCA – Camminano. Per fede (o per sfida), impregnati di pioggia o graffiati dal sole. Morsi dalle tendiniti. I pellegrini camminano, da soli, in coppia, a piccoli gruppi. Si lasciano e si ritrovano, tappa dopo tappa, giorno dopo giorno. Inseguono la Via, la rincorrono ‘con piedi alati’. Aggrediscono i monti, accarezzano le pianure. La strada è lunga, lo scopo uno solo: mettere un passo dopo l’altro, liberi dal superfluo. Incalzando un’idea, una preghiera, una prova. Per chilometri, anzi, centinaia di chilometri.
Quando l’arcivescovo Sigerico, di ritorno da Roma alla sua diocesi di Canterbury, compilò in un minuzioso diario la lista delle 80 località toccate dal viaggio, mai avrebbe potuto immaginare che mille anni dopo, quell’elenco – oggi conservato alla Biblioteca Britannica di Londra – sarebbe divenuto famoso. Era il 994, e la via percorsa aveva due nomi: si chiamava ‘Romea’ se si voleva indicare il luogo di destinazione, cioè Roma; oppure ‘Francigena’ quando si intendeva la provenienza, cioè ‘la terra dei Franchi’. L’itinerario era lo stesso, quello su cui oggi si inerpica una moltitudine crescente, zaino in spalla, scarponi ai piedi. I pellegrini della Francigena: un tempo in marcia per conquistare il perdono e salvare l’anima, oggi in cammino per trovare quell’anima, ricevendo il Testimonium se percorrono consecutivamente gli ultimi 140 km fino a Roma. In tutto, 900 chilometri da Canterbury al Gran San Bernardo, altrettanti da lì alla capitale italiana, sparsi su un fascio di strade che oggi sarebbe impossibile identificare, sepolte come sono dai traffici della Storia. Quel cammino, oggi riaffiorato, diventa una dichiarazione d’intenti, uno stile di vita. Ma anche – più recentemente – attrazione turistica, marchio commerciale. Brand.
A piedi a Roma: come si fa?
L’Europa nasce camminando: sostanziale il contributo che le marce pellegrine del Medioevo danno alla circolazione di linguaggi e abitudini, idee e commerci. Roma, Santiago, Gerusalemme: sulle strade tracciate per arrivare ai luoghi del martirio di Pietro e Paolo, alla tomba di San Giacomo o al Santo Sepolcro, si muovono eserciti e briganti, mercanti e (naturalmente) penitenti. I pellegrinaggi sono il vero motore dell’integrazione europea. Non è un caso se nel 1994 – a mille anni esatti dal famoso viaggio di Sigerico – la Francigena viene promossa “Itinerario Culturale” dal Consiglio d’Europa. Sono i primi segnali di un risveglio d’attenzione che non si è più fermato. Ma come sempre, ci vuole qualcuno che impugni un proclama e lo trasformi in azione. L’idea di spolverare le carte e identificare materialmente la storico percorso, nasce curiosamente nello stesso anno – il 1994 – e sul dorso di un altro Cammino, quello verso Santiago de Compostela, la rotta pellegrina più trafficata al mondo. “Eravamo per strada, si parlava del Giubileo del 2000, e gli stranieri ci chiedevano come fare per arrivare a Roma a piedi: purtroppo non c’era nessuna strada”. Chi parla è Monica Datti, una delle ‘madri’ della Francigena. Di ritorno da Santiago, con il marito Franco Cinti, Monica si avvicina alla Confraternita di San Jacopo di Compostella. Insieme cominciano a studiare il tratto fra Piacenza e Fidenza. In mano hanno solo vecchie carte dell’Istituto Geografico Militare di Firenze, ed un pensiero: devono seguire la via Emilia, ma senza camminarci sopra. In tre giorni di marcia, identificano e segnano un percorso alternativo di 45 chilometri. Pochi anni dopo viene stampata la prima guida. “Certo, quando siamo andati a Roma per il Giubileo, in molti punti dovevamo ancora camminare sull’asfalto. Oggi un buon 90% dell’itinerario si trova su strade sterrate – spiega Monica – ma sulla Cassia e l’Emilia rimangono dei tratti dove si marcia accanto alle macchine”.
L’accoglienza non si paga, si condivide
Percorso, credenziali, segnaletica, accoglienza: in vent’anni, la Francigena prende corpo. Accanto alla traiettoria ‘principale’ – da Aosta – si stanno sviluppando anche i rami della Val di Susa e di Ventimiglia. Ed oggi si parla con crescente convinzione di una Francigena del Sud, sdoganando con la collaudata etichetta anche le rotte che da Roma portavano i pellegrini alla mèta più ambita: l’imbarco a Brindisi verso Gerusalemme. Attorno al Cammino italiano si allarga nel tempo un crescente nodo di amici e passioni, associazioni e parrocchie. E adesso anche di amministrazioni pubbliche. In quanti camminano? Difficile dirlo. In Piemonte si contano 1.000 passaggi l’anno, in Toscana circa 15.000, senza includere i marciatori del week end. Le cifre sono in continuo aumento (+10% in Piemonte negli ultimi anni). La Francigena oggi fa community. Se la via per Santiago è stracolma – e in certi periodi inavvicinabile – il Cammino italiano sembra incarnarne gli antichi valori, a cominciare dall’accoglienza. Sull’esempio di Santiago, anche in Italia si è sviluppata la pratica dell’ospitalità pellegrina, che moltiplica i luoghi – per lo più ad offerta libera – dove corpo e spirito riposano insieme; dove ci si leccano le vesciche mentre si costruisce comunità. E magari si trova la spinta giusta per affrontare la tappa dell’indomani. Conventi, monasteri, parrocchie: ‘ospitali’ gestiti da ‘ospitalieri’ – l’altra faccia del mondo pellegrino – volontari che mettono a disposizione il proprio tempo per alloggiare e incoraggiare i viaggiatori. Proprio come accadeva nel Medioevo. “Dormire in letti a castello, spartire bagno e cucina, fa parte dell’esperienza – spiega la veterana Cristina Menghini, un cammino da Canterbury compiuto nel 2010 in 78 giorni – Chi ti accoglie deve aver voglia di condividere con te quello che stai facendo, non può essere uno che lo fa per soldi. Ecco perché lungo il Cammino incontri gente che non ha certo il problema di pagarsi un albergo, ma è in cerca di altro, di quel contatto umano per il quale non c’è prezzo”. Oggi però, sulla Francigena circola anche un altro popolo: accanto ai tradizionali pellegrini da 30 km al giorno – motivati nello spirito, alla ricerca di sé stessi, in marcia su Roma per 4 o più settimane, un budget limitato e poco tempo da perdere – si moltiplicano quelli che partono per pochi giorni, a caccia di pievi e pici all’etrusca, e che magari preferiscono concedersi un piccolo albergo invece di infilarsi in camerata dentro un sacco a pelo. E’ soprattutto su questi ultimi che si appuntano le speranze di amministrazioni pubbliche e operatori privati, a caccia di un volano economico. E sono proprio questi escursionisti da pacchetto-vacanze, a mettere in crisi gli ‘ospitali’.
Il rischio di essere travolti
Territorio e paesaggio, commercio e cultura: si chiama ‘turismo destagionalizzato’ ed è una miscela di grande attrattiva per Comuni e Regioni. “La Francigena ha fatto rinascere borghi e valorizzato zone senza grande vocazione turistica – spiega Mario Matto, docente di economia e politica del turismo a Torino – Dieci anni fa i pellegrini erano pochi, e venivano guardati con sospetto, soprattutto in provincia. Oggi la gente li conosce, dunque si attrezza, apre bed & breakfast, fa il couch surfing (offerta dei divani di casa, ndr)”. Una micro-economia di zona agganciata ad una strada divenuta fenomeno di massa. Certo, convegni, libri e esibizioni gastronomiche possono fare la felicità di qualche assessore alla Cultura, ma non risolvono il problema del transito, o della creazione di infrastrutture di ospitalità sulla Via. Che rischia di essere travolta dalla ‘francigenomania’. Se il Camino di Santiago ha avuto 30 anni di tempo per strutturarsi, la rotta Canterbury-Roma ha spalle fragili, non può (ancora?) contare su una rete di strutture a basso prezzo per far fronte alle richieste crescenti. “I turisti hanno pretese che i volontari non possono accogliere – continua Monica Datti – si arrabbiano se non trovano acqua calda, lenzuola pulite, asciugamani. Così l’accoglienza diventa frustrante. Ma se i volontari mollano, gli ospitali chiudono”. E’ quello che hanno fatto gli Agostiniani di San Gimignano, la perpetua di Lamporo, o la Casa del Pellegrino a Montalcino. Portando con sé una pratica vecchia come il mondo. Addio dunque pellegrini, prima ancora di diventare grande, il Cammino cambia pelle: avanti start up e ecoturisti all-inclusive. Compreso il trasporto zaini.
(Foto del pezzo per gentile concessione di CRISTINA MENGHINI)