“Se potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo”. Eroina indomita, Caterina Sforza è l’inattesa stella di una stirpe guerriera, la nipote del più importante fra i capitani di ventura, Francesco Sforza, e la madre dell’ultimo dei grandi condottieri, Giovanni dalle Bande Nere. Ma è anche colei che tiene sotto il tiro dell’artiglieria il Conclave del 1484, che accetta di sacrificare i figli per non cedere la città di Forlì, che sfida il Valentino umiliandolo. Donna d’armi e di governo, paladina cavalleresca “essa è grande nella Storia non già per aver iniziato tempi nuovi, ma per avervi spiccato come figura antica” (P.D.Pasolini). E anche per aver affidato il piccolo Giovanni alla tutela di Jacopo Salviati: salvando lui, e la stirpe medicea.
Data in sposa a 10 anni. Caterina è frutto dell’amore di Galeazzo Maria Sforza per Lucrezia Landriani, amante ufficiale e madre di 4 dei suoi figli. Il nonno Francesco è fondatore della potenza dinastica a Milano, lo zio Ludovico (il Moro) lo splendido usurpatore che briga per vent’anni fino a mettersi la corona ducale sul capo. Cresciuta dalla nonna Bianca Maria Visconti, fin da piccola Caterina non può essere imbrigliata. Ribelle e contestatrice, tira di spada, ama la caccia. Alta, ben fatta, biondissima, la valchiria sforzesca – ritratta da tutti i più grandi pittori, Botticelli in testa, ma anche Leonardo? – sarà ‘femina, quasi virago, crudelissima e di grande animo. Senza dubio prima donna d’Italia’ (cronista veneziano). A 8 anni fa parte del corteo che scorta il duca di Milano in visita a Lorenzo il Magnifico. La bimba è incantata dalla dimora senza prigioni e senza torri dei Medici: in qualche modo, il viaggio a Firenze le segna l’animo, ma molti anni devono passare prima che la ruota della vita giri e la riporti in via Larga. Per ora Caterina rientra a Milano, e senza fiatare si infila nel matrimonio con Girolamo Riario – l’imbelle nipote di papa Sisto IV – che la stupra per “assaggiarla prima del matrimonio”. Ha 10 anni, ed è l’ultima volta che obbedisce.
Guidando soldati, la spada in pugno. Babbo Sforza cede al Riario la contea di Imola, cui si aggiunge la città di Forlì, donata dal Papa. Girolamo e Caterina diventano signori degli Stati Romagnoli, prezioso territorio di passaggio per chi transita verso il Sud: hanno una terra su cui regnare, anche se vivono a Roma, dove lui è capitano della Chiesa. Ma con l’improvvisa morte dello zio Papa (1484), la fortuna volge altrove. Come sempre su Roma calano disordine e terrore, chi aveva subìto torti si dedica alla vendetta. Nel caos generalizzato, ecco sorgere una condottiera: Caterina – incinta – non esita a mettersi alla testa dei cavalieri del marito, a occupare Castel Sant’Angelo e lì rimanere per 12 giorni, minacciando il Vaticano. Vuole che i cardinali si riuniscano in Conclave, e che un nuovo Papa possa sedare i tumulti. Quando il pavido Girolamo tratta con gli alti prelati, Caterina è costretta a ritirarsi. Ma non a dimenticare di poter tenere alta la spada.
“Impiccate pure i miei figli, ne faccio altri” – Lasciata Roma i Riario si rifugiano a Forlì, dove Girolamo viene assassinato da una congiura di notabili locali: contro la città ribelle, Caterina si rinchiude nella rocca di Ravaldino, e lì tiene duro, incurante del fatto che gli assedianti abbiano in ostaggio i sei figli. “Impiccateli pure – risponde a chi minaccia di ucciderli, mostrando il basso ventre – ho qui quanto basta per farne altri…”. Dalla rocca resiste fino a quando l’esercito dello zio (Sforza) non le restituisce la signoria. Diventa amministratrice unica per conto del primogenito Ottaviano, revisiona il sistema fiscale, riduce i dazi, controlla le milizie. Nessuno lo sa, ma si è sposata in segreto con Giacomo Feo, fratello di un castellano a lei fedele. Un amore furioso, radicale, da cui nasce un bimbo. Giacomo entra presto in rotta di collisione con la brigata Riario: i figli temono che la madre abbia perso la testa, e finisca per perdere anche lo Stato. Così il patrigno cade vittima di una complotto cui nessuno – a Forlì – sembra estraneo. A parte lei, crudele Caterina: terribile sarà la vendetta della ‘tigre di Forlì’, intere famiglie ne vengono colpite fino all’estinzione. E’ un bagno di sangue. Nel 1496 l’ambasciatore della Repubblica di Firenze, Giovanni de Medici del ramo Popolano, si affaccia nella vita di una madonna folle di solitudine e dolore. Forse Giovanni le ricorda la grazia serena di quel passaggio a Firenze; forse semplicemente le porge una spalla – e una città – cui appoggiarsi. I due si sposano al volo, e nell’aprile del 1498 nasce Ludovico, così chiamato in onore dello zio, Duca di Milano. Ma è una felicità illusoria: sei mesi dopo, il Medici muore di malattia, lasciandola vedova per la terza volta. Ha 36 anni e otto figli. Il nome dell’ultimogenito Ludovico si muta in Giovanni, come il padre scomparso. Le ‘Bande Nere’ arriveranno più tardi.
Violata dal Borgia dopo una resistenza accanita. Ma Caterina non ha tempo per le lacrime: Cesare Borgia, figlio del nuovo papa Alessandro VI, adesso alleato dei Francesi, mira alla terra di Romagna. E se Imola apre le porte al Valentino “alla maniera delle puttane” (Sanudo), la contessa – dopo aver lasciato i figli a Firenze – vola a Forlì. Insieme ai volontari si barrica ancora una volta nella rocca: spera negli aiuti dello zio Sforza (che ha riconquistato Milano), della repubblica fiorentina. Nessuno si muove. Chiusa nell’armatura , la spada in pugno, Caterina guida personalmente la difesa. Ha una taglia sulla testa, il Valentino la bombarda giorno e notte. E’ una donna a tenerlo in pugno. Il 12 dicembre 1500 Cesare sferra l’ultimo assalto, 500 uomini muoiono sugli spalti. La rocca cade. Caterina combatte finché – sola e circondata – deve cedere. La preda tocca al Borgia: viene portata a Roma e rinchiusa in Castel Sant’Angelo. Per sei mesi sopporta ogni sorta di abusi. Ma sopravvive. Liberata per l’intervento francese, si rifugia a Firenze, trovando asilo nel convento delle Murate insieme al piccolo Giovanni travestito da femmina per sfuggire le insidie di chi vuole togliergli l’eredità (e forse la vita). Muore di polmonite a 46 anni, mentre sta ancora brigando per recuperare la Signoria. Se ne va da padrona del proprio destino, da ‘figura antica”, ultima grande donna del Medioevo piuttosto che del Rinascimento. Talvolta spaventevole, mai spaventata. “Se potessi scrivere tutto – mormora ad una suora poco prima di morire – farei stupire il mondo”.
@danielacavini