Un regno di oltre cinquant’anni, più lungo di quello di Elisabetta d’Inghilterra: Cristina di Lorena regge – nel bene e nel male – le sorti dello stato toscano prima da granduchessa, poi da tutrice del figlio, e infine da reggente del nipote. Una vita sul trono, un bilancio dubbio: alla sua morte, i banchi medicei hanno sprangato le porte, il clero ha le mani in pasta ovunque, i commerci ristagnano. Per Firenze è l’inizio del declino.
Eppure Cristina vive accanto al marito l’ultima grande stagione di splendore mediceo. E’ lei la perla coltivata dalla nonna – la regina di Francia Caterina dei Medici – e data in sposa al francofono Ferdinando, neo-duca di Toscana, l’ex cardinale che dopo l’improvvisa morte del fratello Francesco I, getta la tonaca e impugna lo scettro. E’ il 1587: con quest’unione, la Toscana sterza di nuovo nel gioco delle coalizioni. Addio spose asburgiche e spagnole, Ferdinando guarda a Parigi come al nuovo alleato su cui puntare per rafforzare il governo. A differenza del padre e del fratello, è convinto che solo una Francia forte possa garantire l’indipendenza degli stati italiani. Da qui i contatti diretti con la Regina madre, quella ragazzina spedita a Parigi cinquant’anni prima da Papa Clemente VII, per diventare sposa del figlio del Re. Caterina, ultima discendente dell’antico ramo di Cafaggiolo, non ha mai dimenticato la sua terra natale: e volentieri affida la nipote prediletta all’erede del nuovo ceppo iniziato con Cosimo I. La principessa – “di carne bianca, di statura mediocre, di faccia lunghetta” – ha alle spalle tre progetti di nozze falliti, e 300.000 scudi di dote regalati da una nonna preoccupata per la non più giovane età della fanciulla. Cristina ha 22 anni, ed è un bene. Perché il matrimonio non è un cammino facile, soprattutto quando lo sposo di anni ne ha già compiuti 40, e la sua vita si è saldamente costruita attorno ad abitudine ed egoismi. “Ma ella, che di buona scuola veniva (quella di Caterina ndr), et in età che le aveva maturato il giudizio, fece sì con la dissimulazione e pazienza sua, che Ferdinando fu vinto a poco a poco” (P. Usimbardi) . Insomma, i consigli della nonna hanno ben temprato la sposa, che a Firenze riesce a conquistare la fiducia del marito, oltre al rispetto dei fiorentini: dopo la freddezza di Giovanna e l’orgoglio di Bianca, la città ha bisogno di una duchessa da amare. Le nozze sono fastose, anche troppo, per essere quelle di un ex cardinale.
Una Granduchessa che brilla di luce riflessa
Ferdinando & Cristina come Cosimo & Eleonora: nell’album mediceo non sono molte le coppie riuscite. Un matrimonio popolato da 8 figli, e fondato su intenti comuni, semplicità nella vita privata, magnificenza in quella pubblica. Insieme i coniugi riportano rigore nella tumultuosa vita di corte lasciata da Francesco I e Bianca Cappello. Ferdinando è “principe, mercante e banchiere” (E. Micheletti), ultimo dei grandi Medici. Proprio come avevano fatto Cosimo il Vecchio e Cosimo I, il nuovo duca stimola le dinamiche economico-politiche, riapre i commerci, favorisce gli scambi, concede agevolazioni alla mercatura. Fa di Livorno un porto franco, schiudendolo ad ebrei e ugonotti; a Pisa innalza l’acquedotto e il canal del Naviglio, da Arezzo presiede al risanamento della val di Chiana. A Firenze poi, è instancabile mecenate: finisce la Tribuna degli Uffizi, le collezioni medicee trovano posto nella Galleria delle Statue, chiede al Buontalenti il Forte Belvedere, e al Tacca e al Giambologna fontane e statue equestri. Parte (finalmente) il cantiere della Cappella dei Principi a San Lorenzo, e con esso l’Opificio delle Pietre Dure. Cristina fa del suo meglio: è vero che ha la passione di fondare conventi, ma si prodiga anche per il popolo. La Granduchessa non brilla di luce propria, bensì riflette quella di una politica illuminata. E’ sempre accanto al marito, attenta, dignitosa, regale. Gli si appoggia nell’anima. Le sue frequenti lettere si chiudono sempre con la stessa frase: “Le bacio le mani col cuore”. Quando Ferdinando scompare prematuramente (è il 1609), per Cristina è il crollo. L’equilibrio in cui era vissuta si rompe: non è preparata a camminare da sola.
Due donne al comando, uno stesso declino
Inesperta, insicura, la duchessa maschera l’inattesa fragilità dietro una corazza di alterigia: governare non le è mai interessato, ma ora pretende di farlo. Nello sforzo di imporsi, il suo consueto senso religioso si trasforma in bigotteria, le credenze diventano superstizioni, e le reliquie amuleti. Non va più a messa tutti i giorni: ci va tre volte al giorno. Nominata tutrice del figlio per volontà testamentaria del marito, Cristina commette un grosso errore: convincere il giovane neo-duca che il commercio è indecoroso per un principe, e che è meglio dedicarsi agli studi e alla scienza. Da qui la chiusura dei banchi medicei, da secoli fonte primaria della grande ricchezza familiare. Non solo. La debolezza rende la duchessa facile preda di quegli ecclesiastici che ha sempre favorito: molti affari di stato cadono nelle mani di un clero insolente e vessatorio, la cui ingerenza non si limita al sistema educativo, ma si impone anche nell’amministrazione. C’è poi il contrasto con la nuora, quella Maria Maddalena d’Austria, sorella dell’imperatore, scelta da Ferdinando prima di morire come moglie del figlio Cosimo: curiosa questa opzione di riportare l’ago della bilancia verso Vienna, ma gravida di conseguenze per il regno. Due le Signore di Firenze, due le politiche, due le strade del (mal)governo: quella francese, incarnata dalla madre, e quella austriaca, dalla moglie del fragile nuovo duca. Che più che governare la Toscana, se ne sta rintanato a Pitti. E se ne va nel 1621 a soli 31 anni, lasciando il figlio undicenne – Ferdinando II – nelle mani delle due rivali, adesso rispettivamente nonna e madre. La lotta prosegue, feroce. La Toscana è paralizzata da un matriarcato irresponsabile, nutrito di preghiere e vessazioni. Su un solo punto le reggenti sembrano accordarsi: il lusso esasperato nella vita di corte, che fa tremare le già dissestate casse dello stato. Sopravvissuta anche a Maria Maddalena, Cristina evita di poco l’onta di essere cacciata dal nipote Ferdinando – finalmente deciso a liberarsi dell’autorità della granduchessa nonna – ma non quella di abbandonare Galileo Galilei al suo destino. E’ il 1633, a Firenze l’Inquisizione regna sovrana. E il Granducato sprofonda.