Uno scienziato morto misteriosamente, un’invenzione ‘scippata’: ecco la storia di come il primo motore a scoppio – inventato a Firenze e oggi in mostra all’Osservatorio Ximeniano – fu attribuito ad un tedesco. Mentre il vero artefice della scoperta, padre Eugenio Barsanti, si spegneva con strani sintomi in Belgio, dopo aver tentato di far partire la produzione industriale del prototipo italiano.
Benvenuti allo Ximeniano, antico laboratorio astronomico fondato dal gesuita Leonardo Ximenes, oggi ente di ricerca meteorologica e geofisica, stazione di rilevamento di temperatura e polveri inquinanti. Un luogo di scienza ancora attivo nelle stesse stanze in cui nacque, nel 1756. Qui un modello (ricostruito) del motore Barsanti- Matteucci – i due ingegneri che lavorarono alla scoperta- fa bella mostra di sé: quei pistoni, quelle valvole raccontano di un’epoca capace di sfruttare pressione, metano e una scintilla, per sparare l’uomo nel futuro. E’ il primo motore a combustione interna della storia, superiore alla macchina a vapore perché più maneggevole, più sicuro, facile da avviare. Il primo passo verso l’automobile.
Un progetto tutto fiorentino: nasce nel 1853 nei locali dello Ximeniano, fra il Duomo e San Lorenzo, dove padre Barsanti vive e insegna matematica; viene realizzato nei laboratori della Pignone, allora Fonderie Bernini, e il brevetto depositato all’Accademia dei Georgofili (e poi anche in Francia, Prussia e Piemonte). Ma questa è un’Italia pre-unitaria, priva della forza di uno stato centrale capace di tutelare le scoperte a livello internazionale; e priva anche di un’industria meccanica di precisione, dunque costretta a guardare oltrefrontiera per la realizzazione delle proprie idee. Così, di fronte al moltiplicarsi delle richieste di produzione e commercializzazione del motore, Barsanti e Matteucci decidono di andare a Seraing, in Belgio, rivolgendosi alla società di John Cockeril. Il quale – un po’ incredulo – chiede allo scienziato di portargli il prototipo, di (ri)montarlo e farlo funzionare. Cosa che puntualmente l’italiano fa. “Gli operai rimangono a bocca aperta – racconta il professor Renzo Macii, dell’Osservatorio Ximeniano – lo sappiamo dalle lettere qui inviate da Barsanti, e conservate in archivio. La scoperta italiana è una vera rivoluzione”. Purtroppo dopo due mesi il padre del motore a scoppio si ammala e muore, proprio lì, a Seraing. E’ il 1864. La diagnosi è tifo petecchiale. “Ma i telegrammi che il fratello invia all’Osservatorio durante la malattia – continua Macii – evidenziano strani sintomi: un medico fiorentino avanza l’ipotesi di veleno”. Sarà un caso, ma poco dopo, l’invenzione del motore a combustione viene ufficialmente attribuita all’ingegnere tedesco Nikolaus August Otto, autore di disegni stranamente simili a quelli dei due italiani. Il Bel Paese perde la partita. Eppure al Deutsches Museum di Monaco una riproduzione della macchina a grandezza naturale è oggi esposta con la seguente targhetta: “Modello del primo motore a scoppio della Storia, ideato e costruito da Eugenio Barsanti e Felice Matteucci”….
Non è solo il futuro dell’automobile, ad essere concepito in via Borgo San Lorenzo. La storia della scienza batte fra le mura di questo sacro edificio fin dalle sue origini. E’ qui – nel ‘collegio dei nobili’ edificato dai gesuiti all’interno del convento di San Giovannino – che viene alla luce la meteorologia: siamo nella seconda metà del ‘600, dalle stanze dell’Istituto padre Luigi Antinori coordina il primo servizio meteorologico del mondo, la cosi detta ‘rete medicea’, network di stazioni meteo situate proprio nei ‘collegi dei nobili’ che i Gesuiti hanno sviluppato ad Innsbruck, Bologna, Parigi, Varsavia, Milano. La rete lavora con i barometri e i termometri inventati dai membri dell’Accademia del Cimento, consorteria di discepoli di Galileo sostenuta dal Granduca Ferdinando II dopo la morte dello scienziato. Quando arriva padre Ximenes, cento anni dopo, anche le lenti vengono puntate verso il cielo: agli interessi di idraulica, il grande matematico aggiunge quelli di astronomia, e in un’epoca ancora restia ad ammettere la centralità della scienza, fa brillare l’Istituto per la qualità dei suoi studi sull’obliquità dell’eclittica o sull’influenza della luna sulle maree. E’ tale il prestigio di Ximenes che quando la Compagnia di Gesù viene soppressa e i locali affidati agli Scolopi (che installano le proprie ‘scuole pie’, oggi Liceo Galileo), allo scienziato è concesso di restare e continuare gli studi fino alla morte.
Oggi la collezione astronomica – a lui dedicata – espone telescopi, bussole, strumenti geodetici. Ma ci sono anche i sismografi, attivi fin dall’800. C’è il cannocchiale per misurazioni trigonometriche con cui padre Giovanni Inghirami realizza nel 1830 la prima “Carta geometrica della Toscana”: un lavoro così importante che quando l’Accademia delle Scienze di Berlino intraprende la prima costruzione di un atlante astronomico, assegna al sacerdote italiano una porzione della mappa del cielo, e lui la fa così bene, che gli astronomi tedeschi gli dedicano una valle della luna e un cratere, ancor oggi denominato “cratere Inghirami”. Firenze, luogo di rinascimento anche nella ricerca scientifica. Lo scrigno storico dello Ximeniano contiene altre gemme, i barometri, gli igrometri. Svetta su tutti il gigantesco telescopio newtoniano – incastonato nella torre dell’Istituto – presentato al 3° Congresso degli scienziati italiani del 1841, a Firenze. “Due sono gli eventi ‘disastrosi’ che mettono fine alle osservazioni astronomiche dello Ximeniano – continua Macii – l’introduzione in piazza Duomo di una stazione di posta, un tram a cavallo con ruote cerchiate; e l’arrivo dell’illuminazione pubblica a gas”. Siamo nella seconda metà dell’800: vibrazioni e luce diffusa scacciano dal centro fiorentino l’osservazione del cielo, che si sposta ad Arcetri. Il telescopio rimane lì, agganciato alla cupola, ancor oggi visibile a tutta la città; muto testimone dello splendore scientifico di un luogo e di un tempo in cui scienza e fede smettono di combattersi. E se non riescono ad abbracciarsi pubblicamente, almeno in privato si tendono la mano.