Stessi architetti, artisti, nomi – Non molti la guardano, e pochissimi la vedono, nascosta com’è nell’andirivieni di via Calzaioli. San Carlo ai Lombardi, aspetto massiccio, facciata a capanna, gotico spoglio in arenaria: una chiesa dal destino segnato, sempre in competizione con l’avvenenza della sorella che le si erge davanti, Orsanmichele. Eppure le due costruzioni condividono gli stessi architetti, si adornano degli stessi artisti, portano persino gli stessi nomi: entrambe sono dedicate a San Michele, il santo guerriero protettore dei Longobardi; entrambe sono legate a Sant’Anna, madre della Vergine. Perché dunque due chiese a qualche metro di distanza, con un prologo così simile, e un fato così diverso?
Da chiesa a mercato del grano – Unica e splendida la fortuna della maggiore: San Michele in Orto (da cui Orsanmichele) è una chiesina longobarda demolita intorno al 1240 per far posto a una loggia destinata a mercato del grano. Il porticato – che ospita su un pilastro l’immagine di una Madonna miracolosa – s’innalza fra il Duomo e il Palazzo dei Priori, nel cuore di Firenze, simbolicamente a metà strada fra la sede dei governi religioso e politico della città: forse perché gli uomini sono meglio disposti a essere amministrati sia dal Cielo che dalla terra quando hanno la pancia piena. Uno snodo nevralgico per la vita cittadina dunque, abbattuto da un grave incendio agli inizi del Trecento. La Repubblica affida allora a due architetti, Neri di Fioravante e Benci di Cione, l’incarico di rimetterlo in piedi: i lavori si concludono nel 1349, in piena peste nera, un’epidemia che piega Firenze, dimezzandone la popolazione. Nello stesso anno, in un tempo di preghiere più che di commerci, la Signoria chiede ai due architetti di costruire una cappella sull’altro lato della strada, sempre su un terreno del vecchio oratorio di San Michele in Orto.
S. Anna innalzata per ricordare la cacciata del tiranno – La chiesetta è consacrata a S. Anna per ricordare una pagina di storia cara al cuore della città, la cacciata popolare del tiranno Gualtieri di Brienne duca d’Atene, avvenuta sei anni prima, il 26 luglio, giorno dedicato alla santa. Un evento che fa scrivere al cronista Giovanni Villani: “S’ordinò per lo Comune, che la festa di Santa Anna si guardasse come Pasqua sempre in Firenze“. Un evento che si continua a celebrare nel tempo, e che spinge la madre della Vergine nel Pantheon dei santi più amati dai fiorentini. Infatti la chiesa viene costruita a tempo di record, assestando la situazione in via Calzaioli: da una parte il rinnovato mercato del grano, dove Andrea Orcagna, come atto d’omaggio dei superstiti della pestilenza, innalza il prezioso tabernacolo intorno all’immagine di Maria dipinta da Bernardo Daddi a sostituzione di quella distrutta nell’incendio. Dall’altra, in ringraziamento per la riconquistata libertà, ecco il luogo di fede, ecco Sant’Anna, una semplice struttura a navata unica, con soffitto a capriate di legno come una basilica paleocristiana, dove lo stesso Orcagna realizza un severo crocifisso ligneo ancor oggi visibile.
Ma il mercato torna chiesa – Passano gli anni, la peste si allontana, il futuro torna rosa: crescono le lavorazioni dei tessuti, i commerci, la manodopera. Lievitano i soldi, e con essi la devozione all’immagine mariana. I mercanti vogliono ringraziare la Madonna dell’aiuto dato a rintuzzare la pestilenza e spingere i mercati. Si decide così di proteggere il tabernacolo miracoloso, e di riportare la loggia alle antiche funzioni religiose, tamponandone le arcate. Una chiesa senza croce, a forma di deposito. E il grano? Spostato ai piani superiori, appositamente costruiti. Un magazzino sopra al tempio, per accudire anima e corpo, nutrire sacro e profano. Le due facce della stessa medaglia, come quel fiorino d’oro che affigge il giglio da una parte, S. Giovanni dall’altra.
E S. Anna si trasferisce di là della strada – A questo punto la storia delle due chiese diverge bruscamente: nella loggia tornata luogo di fede, con buche per il grano scavate nei pilastri, accanto al capolavoro dell’Orcagna dedicato a Maria, si fa spazio anche un altare per la madre della Vergine. Dall’altra parte di via Calzaioli, alla costruzione priva d’immagini votive vengono sfilati il nome e il patronato, e riassegnato il titolo rimasto vacante tanto tempo prima: non sarà più Sant’Anna – il cui culto si trasferisce al di là della strada – ma San Michele, in ricordo del preesistente S. Michele in Orto buttato giù per far posto al mercato. E ancora una volta è lo stesso architetto che aveva chiuso la loggia, Simone Talenti, a completare la facciata del tempio minore, con pietre estratte dalle cave di Boboli. Nello stesso anno – il 1404 – la Repubblica decide di affidare un pilastro esterno di Orsanmichele a ciascuna delle quattordici Arti più importanti, perché lo decorino. La competizione che si scatena ci regalerà il più straordinario ciclo scultoreo del ‘400, per mano di Donatello e Ghiberti, Brunelleschi e Verrocchio.
Un colpo di quà, uno di là – E mentre la fulgida Orsanmichele si converte nella chiesa delle Arti – monumento all’operosa prosperità dei mercanti fiorentini – la sobria San Michele, in perpetua crisi identitaria, si rassegna ad una vita nell’ombra. Non senza qualche colpo d’ingegno di artisti che continuano a dare una botta di qua, e una di là. E’ infatti per l’ex Sant’Anna che Niccolò Gerini realizza il suo capolavoro, il ‘Compianto su Cristo morto’. Proprio lui – che aveva creato le celebri vetrate di Orsanmichele insieme al Ghiberti – qui si dedica alla dolente composizione del corpo di Gesù ad opera delle pie donne; una splendida tavola che dopo un passato trascorso agli Uffizi, è oggi ricollocata nella sua sede originaria.
E poi arriva la Controriforma – Fra il ‘500 e il ‘600, il destino delle due chiese si compie: Orsanmichele rimane luogo celeberrimo, tanto che il duca Cosimo I decide di insediarvi l’Archivio notarile ai piani superiori. Di grano non si parla più. Mentre l’ex-S.Anna- ex-S.Michele cambia ancora nome e si converte in S. Carlo ai Lombardi, quando un altro Cosimo – il secondo – la concede ad una compagnia di devoti a Carlo Borromeo, protagonista del Concilio di Trento, grande riformatore della Chiesa cattolica all’indomani dello strappo protestante insieme a Ignazio di Loyola e Filippo Neri. La confraternita della ‘nazione lombarda’ s’insedia in via Calzaioli, mentre il ducato si inabissa nel bigottismo, cadendo nelle mani di un clero arrogante e vessatorio. L’Inquisizione regna sovrana, i banchi medicei vengono chiusi, i commerci ristagnano. Ma la chiesa sembra vivere il suo tempo dorato, quasi una rivincita. Sulle lunette affrescate intorno all’altare, si racconta la vita di San Carlo, potente arcivescovo di Milano, oggetto di un attentato da parte dell’Ordine degli Umiliati: quando un frate gli spara un colpo di archibugio e lui si salva, l’Ordine viene soppresso e gli Umiliati devono abbandonare Ognissanti… Eppure anche questo tempo tramonta: oggi una folla frettolosa, quando riesce ad alzare lo sguardo dalle vetrine, accarezza piuttosto la chiesa delle Arti e dei Mestieri, quella che ha inventato il Rinascimento. Non quella che ha ospitato la Controriforma. E d’altronde, come competere con una Madonna miracolosa?