E’ vissuto masticando legname: i denti consunti fino alle gengive raccontano di anni passati a triturare fibre, legnami. ‘Romito 8 ‘ era un abile cacciatore. Un giorno cadde dall’alto, il corpo si spezzò: aveva il bacino fratturato. Del lato sinistro nulla più si muoveva. Il suo era un destino segnato. Eppure …. Eppure la comunità in cui viveva non lo abbandonò. Romito 8 fu curato, gli arti narrano di strutture muscolari deformate per un lavoro svolto a terra, accovacciato sui polpacci, aiutandosi con l’unico braccio ancora utilizzabile. L’ex cacciatore si guadagnava il pasto (e il posto) in società masticando canne e legnami teneri, tirando pellicce con i denti: usava la bocca come terza mano. Quasi nulla è rimasto della sua dentatura. Alla fine morì, non sappiamo come. Aveva circa 35 anni, e fu sepolto dove è stato trovato, dodicimila anni dopo. Uomo di un tempo così lontano da sfuggire alla storia. La preistoria, appunto.
Benvenuti al Museo e Istituto ‘Paolo Graziosi’, casa dell’uomo preistorico. E’ qui che si trova il corpo di ‘Romito 8’, o meglio il suo calco in vetroresina, creato prima che l’originale fosse sbriciolato dagli scavi nell’omonima grotta, a Cosenza. Attivo dal 1946, questo museo ‘minore’ vive appartato all’ombra delle Oblate, di cui subisce i continui progetti di ampliamento. Oggi si parla di una nuova sede, ma il ‘dove’ e ‘quando’ restano per ora in sospeso. Intanto il ‘Graziosi’ continua ad affinare la propria missione: in primo luogo la didattica, grazie ad operatori specializzati alle prese con le scuole. Poi la ricerca: questa nicchia di eccellenza custodisce in deposito reperti provenienti da tutto il mondo (è il secondo in Italia), affidati periodicamente ad una comunità scientifica nutrita da nuove tecniche e avida di scoperte. Accanto ai crani dell’Australopithecus o dell’Uomo di Neanderthal, ci sono resti ossei recuperati durante gli scavi, su cui si continua a studiare. Ma le vetrine attempate del Graziosi esibiscono anche una collezione di oggetti rarissimi. Si va da un ritratto di epoca Paleolitica – fra i più antichi del mondo – a figure femminili gravide datate fra i 20 e i 30 mila anni; da pregiate amigdale – oggetti di caccia vecchi di un milione di anni provenienti dal Pakistan – ad ami da pesca egiziani che contano ‘solo’ ottomila primavere …. “Un museo deve essere alimentato dalla ricerca, una delle sue funzioni principali – spiega il direttore Fabio Martini – Oggi per esempio, accanto alle analisi del DNA, anche le misurazioni isotopiche sulle ossa ci rivelano nuove vicende dei nostri avi preistorici”. Come quella di Romito 9, un ragazzino vissuto 17 mila anni fa in riva al mare – gli isotopi indicano un’alimentazione a base di pesce – e ritrovato sepolto in una comunità carnivora, avvolto in un manto tessuto con migliaia di conchiglie. Chi era? Cosa lo spinse ad allontanarsi dalla sua terra? Perché fu sepolto come un dio? La narrazione della preistoria si nutre di frammenti, indaga scaglie di vita sottratte alla macina del tempo. Come quel braccialetto di 102 denti di cervo che Romito 9 aveva al polso quando fu adagiato nella fossa. E che oggi giace gelosamente custodito in una teca dell’archivio del ‘Graziosi’.
“Esponiamo a rotazione per mancanza di spazio – continua Martini – ma siamo fieri dei nostri 12mila visitatori l’anno: in una città con un’offerta culturale come Firenze, non è poco”. Certo che per aspirare la polvere del tempo ed acchiappare le svagate menti della gioventù, un po’ di interattività non guasterebbe. Tuttavia – più che sulla quantità – la missione del museo sembra fondarsi sulla qualità dell’offerta, e sulla sua diversificazione. Ecco la scommessa dell’ “archeologia sociale”, i laboratori creativi con i bimbi del Meyer, le attività per combattere l’Alzheimer, gli incontri con i detenuti a Sollicciano. Iniziative sporadiche, sostenute per lo più dalla Regione Toscana insieme ad associazioni specializzate (Ulisse). Ma portatrici di un messaggio forte: il disagio – sociale o mentale – può essere affrontato a colpi di creatività alimentata da spazi educativi comuni. “Entro l’anno vorremmo attivare a Sesto Fiorentino un laboratorio archeologico permanente per ragazzi down”, conclude Martini. Perché scavare per rinvenire il passato può anche aiutare a ritrovare il presente. A comprendere l’’io’.
Chissà se fu questo il motore dell’archeologo fiorentino di fama internazionale Paolo Graziosi, il primo a pubblicare nel 1954 le foto dei Kafiri (tutt’oggi conservate al Museo, ma non esposte), popolazione isolata per millenni in una valle del Pakistan, forse diretta discendente dei Macedoni di Alessandro Magno. Graziosi scavò ovunque, in Asia ed in Africa. Portò a Firenze una straordinaria collezione di calchi. Ma lavorò anche in Italia: fu lui nei primi anni ’60 a scoprire la Grotta dei Cervi, a Porto Badisco, il complesso pittorico Neolitico più imponente d’ Europa. Su quelle pareti è tracciato un passaggio fondamentale dell’uomo, quello da cacciatore ad allevatore: i disegni di cervi e i cani, lasciano progressivamente spazio a figure geometriche stilizzate. Divenuto contadino, l’ex nomade si ferma, concedendosi il lusso di fantasticare. Il dio che balla, lo sciamano danzante rinvenuto sulle pareti dell’antro e oggi simbolo del Salento, è il primo esempio di graphic art della (prei)storia. L’arte astratta viene alla luce qui, in una grotta pugliese crocevia di popoli e culture. Per poi essere dimenticata e ritrovata. Seimila anni dopo.