“Uno di voi mi tradirà”: l’annuncio cade sulle pareti del refettorio del Fuligno. Tommaso si versa da bere, Bartolomeo affetta le vivande. Simone e Taddeo continuano a conversare pacatamente. Gesù sembra (già) assente. Solo lui, Giuda, profano e scuro, lancia allo spettatore un’occhiata che trafigge, mentre sfodera il prezzo del tradimento. Quello sguardo senza fine sospende il tempo, inchioda lo spazio. Tutto il resto è armonia e silenzio. Nessuna commozione, nessun pathos: il dramma è annunciato, ma la reazione del gruppo composta. Impercettibile.
La Cena inghiottita dalla calce – E’ il 1495: mentre sui muri di S. Maria delle Grazie a Milano Leonardo ribalta la tradizione dei Cenacoli fiorentini – spargendo per la prima volta onde di panico sul tavolo di un’Ultima Cena travolta dall’annuncio del tradimento – a Firenze il ‘divin pittore’ paralizza i convitati del Fuligno in un estraniamento malinconico. E’ come se gli apostoli assorbissero internamente uno sgomento che non vogliono mostrare, che mascherano anche a se stessi. La scena è semplice, proprio come il paesaggio in cui è accolta: un portico racchiuso fra dolci colline, cassa di risonanza dei sentimenti dei commensali. Per secoli, il convivio affrescato sui muri del convento di Sant’Onofrio – detto anche del Fuligno (o Foligno) perché da qui arrivano le monache nel 1419 – accompagna i pasti delle Terziarie Francescane. Ma la storia, si sa, non avanza in linea retta: ad un certo momento del cammino – per motivi sconosciuti – l’affresco viene scialbato, gli apostoli coperti. Strati di calce sciolta in acqua inghiottono la Cena.
L’entusiasmo per il (falso) Raffaello – Quando arrivano le soppressioni di fine ‘700, le suore sono costrette ad abbandonare il convento che l’amministrazione napoleonica destina ad istituto per l’educazione di orfane e fanciulle povere: nasce l’Educatorio del Fuligno. Il refettorio viene staccato dal resto del complesso, creando una ‘ferita’ fra i due spazi che non sarà più risanata. Prima l’ex Cenacolo è acquisito dallo Scrittoio delle Reali Fabbriche, poi incorporato dai napoleonici, e alla fine rivenduto a privati. Nel 1810 – secondo gli atti notarili – diventa laboratorio per la lavorazione della seta, poi si trasforma in officina per la verniciatura delle carrozze. Ed è qui che un giorno di luglio del 1843 un tassello del dipinto torna a far capolino, bucando gli strati di un intonaco sotto cui la Storia l’aveva sepolto e preservato. I critici dell’epoca sono entusiasti e (quasi) unanimi: è Raffaello. C’è la semplicità, lo stile dolce degli anni giovanili del Maestro. Qualcuno pensa di leggere una sua firma. “Probabilmente è il contesto storico a spingere in questa direzione – spiega Marco Mozzo, direttore del Cenacolo – solo pochi anni prima si era svolta al Pantheon la ricognizione delle ossa del grande pittore. Una cerimonia che rappresenta il momento di massimo culto dell’artista”. Come sottrarsi all’autorevolezza del mito? Anche il racconto del tradimento di via Faenza cade nella Raffaello-mania ottocentesca. Una volta attribuito all’Urbinate, il Cenacolo diventa fenomeno di massa: tutti lo studiano, lo riproducono. Il clamore è tale che nel dicembre del 1847 il Granduca di Toscana Leopoldo II è costretto a (ri)comprare l’aula monumentale, facendo la fortuna del proprietario del garage: è proprio la scoperta dell’affresco a separare definitivamente il destino del refettorio da quello del resto del convento. Finchè….
E invece no, è un Perugino – Finchè qualcuno non comincia ad avanzar dubbi: fondamentale il lavoro di fine secolo dello storico dell’arte tedesco August Schmarsow. Alla fine, si è costretti ad ammettere: l’elegante equilibrio dispiegato nel Fuligno non è opera del Sanzio, bensì del suo maestro, il ‘divin pittore’. Il Perugino. Per quanto sembri lì per lì un declassamento, la verità è che a fine ‘400 – nella cerniera fra i due secoli – Pietro di Cristoforo Vannucci è probabilmente il più importante pittore di Firenze. “Grande il successo imprenditoriale della sua bottega in Sant’Egidio – afferma Rosanna Caterina Proto Pisani, curatrice di varie pubblicazioni sul Cenacolo – il suo stile si diffonde in Europa, creando, per la prima volta dopo Giotto, un linguaggio artistico comune”. Il toscanocentrico Vasari non ama il Perugino, ma deve ammettere : “de l’opre sue s’empié non solo Fiorenza et Italia, ma la Francia, la Spagna e molti altri paesi dove elle furono mandate […] venute le cose sue in riputazione e pregio grandissimo”. E’ lui, il Vannucci, ad incarnare lo spirito del tempo a Firenze. Spazzate via dal Savonarola le aspirazioni intellettuali dell’età laurenziana, è la sua arte– così essenziale e devota – ad incarnare i nuovi ideali promossi dal frate ferrarese. Piace, il Perugino. Piacciono quegli “uomini e donne che avevano perso le loro caratteristiche terrene e assunto quell’aria angelica et molto dolce – scrive un informatore del duca di Milano nel 1494 – e di cui tutti allora sentivano il bisogno”. Così nascono gli apostoli del Fuligno, raffigurazioni ideali più che umane incarnazioni. Sarà gloria poco duratura, presto soppiantata dall’urgenza di vita, di inventiva, di plasticità seminate da Michelangelo e Leonardo…
Oggi, Perugino ha ripreso il posto dovuto nell’olimpo della pittura rinascimentale. E così il suo Cenacolo, finalmente emancipato dall’insostenibile peso della delusione. Dopo aver alloggiato la seta e le carrozze, aver fatto da deposito ai reperti egiziani ed etruschi (negli anni seguenti all’Unità d’Italia), essersi trasformato in magazzino di dipinti (della Collezione Feroni) e aver infine accolto anche le opere travolte dal fango (con l’alluvione del ‘66), il refettorio ha finalmente (ri)trovato la propria dignità. Nel 2005, una grande mostra riunisce nel Fuligno le opere di molti che accanto al Perugino lavorano o che subiscono la sua profonda influenza, da Gerino da Pistoia allo Spagna, da Lorenzo di Credi a Ridolfo del Ghirlandaio. Alcuni di quei lavori sono rimasti lì. Uniti in un luogo di quiete, inaspettatamente al riparo dal caos cittadino; una nicchia in cui il Rinascimento ancora si respira nel racconto della magica dolcezza dei perugineschi. Uno spazio in cui il decoro che lo accoglie, rende ancora più sacro l’annuncio del tradimento messo in scena sul muro.