Si uccidono a vicenda. Durante una rissa il fratello colpisce il fratello, il padre trafigge il figlio assassino: è il 1562, e il regno di Toscana perde in pochi giorni due giovani principi e la granduchessa loro madre, stremata da una lunga malattia e dall’orrore. Ancora sangue sulla dinastia medicea, strapazzata da finte tragedie formato TV, ma carica di drammi propri, profondi e maligni come un male inconfessabile. Se la versione ufficiale dell’improvvisa morte dei due giovani Medici è malattia, e se la scienza – che afferma di aver identificato il parassita della malaria nei resti ossi – non arriva a chiudere il caso, un documento custodito nell’Archivio di Stato di Firenze affiora dopo secoli per mescolare le carte e aprire nuovi interrogativi.
Il racconto che gli studiosi bollano come fantasia popolare – relegato nell’angolo della propaganda antimedicea – viene oggi rilanciato da un registro redatto su commissione degli stessi Granduchi nel 1712. Un albero dinastico ufficiale che attraversa i secoli portando con sé la muta certificazione di una tragedia sempre negata. In due nuvolette grafiche del ramo genealogico a pagina 40 – luogo probabilmente poco frequentato dagli storici, ma idoneo all’occhio vorace di una giornalista – si dichiara nero su bianco che il principe Giovanni de Medici viene effettivamente ferito a morte dal fratellino Garzia durante una battuta di caccia a Pisa; e che è il padre Cosimo in persona – travolto dall’ira – a colpire il figlio omicida con uno stiletto, causando le ferite che poi ne provocano la morte.
Due funerali insoliti- Sul contesto del dramma familiare che investe i Medici e la Toscana tutta nel 1562, le fonti sono unanimi: ad ottobre il duca Cosimo, i 3 figli minori e la moglie Eleonora partono per la Maremma. Obiettivo: visitare i lavori di bonifica avviati nella desolata regione. Ma su cosa accada durante il fatidico viaggio, le voci contrastano fin da subito: è comunque accertato che il 19enne cardinale Giovanni, figlio prediletto del Granduca, muore il 21 novembre a Livorno, e il 25 viene solennemente sepolto a Firenze nella chiesa di famiglia, San Lorenzo. Nessuno può vedere il cadavere, che, contrariamente all’usanza “non è esposto alla pubblica vista, ma serrato in cassa” (R. Galluzzi, ‘Istoria del granducato di Toscana’). Pochi giorni dopo, il 12 dicembre a Pisa, muore anche Garzia, principe 15enne prediletto della Granduchessa, il cui corpo viene riportato a Firenze durante la notte, e inumato ‘senza pompa alcuna’ (A. Lapini, ‘Diario Fiorentino’). Scelta inspiegabile trattandosi del figlio di un Granduca. Due principi, due corpi tumulati senza che nessuno possa guardarli in faccia per l’ultimo saluto. Sei giorni più tardi, è la volta della sfortunata madre dei due ragazzi, Eleonora: anche la bella principessa di Toledo, l’altera figlia del re di Napoli, l’amore grande dell’iracondo duca, chiude gli occhi per sempre. Erano partiti in cinque, tornano a palazzo in due, Cosimo e il piccolo Ferdinando. Una triplice sventura da cui il granduca non si riprenderà più, arrivando due anni più tardi a lasciare il regno nelle mani del figlio maggiore, e a ritirarsi a vita privata.
Un archivista ‘doc’- Cosa è davvero successo in quei giorni? Cosa ha stroncato due ragazzi nel fiore degli anni? Si fa strada il racconto di un duplice omicidio scatenato da un banale litigio fra fratelli. Il motivo sarebbe la disputa su quale cane abbia fiutato per primo la pista di una lepre stanata durante una caccia. Ma la versione ufficiale sostenuta dalla famiglia – e poi per secoli dagli studiosi – dismette questa ‘storiella messa in giro dai nemici di Cosimo (G.F. Young, ‘I Medici’) e parla prima di influenza, poi di malaria. Con tanto di recenti analisi mediche sui reperti ossei, che confermano la presenza del parassita. A gettare nuova luce sulla vicenda arriva oggi l’albero genealogico dei Medici, documento gelosamente custodito nell’Archivio di Stato di Firenze. Un registro stilato dall’archivista di corte, Lorenzo Maria Mariani, e pubblicato nel 1712 proprio su commissione di un Medici, il Gran Principe Ferdinando, desideroso di celebrare pubblicamente l’elenco degli antenati di famiglia.
Chi è Mariani? Un sacerdote, celebre antiquario, nonché custode per 25 anni dell’archivio dell’Altezza Reale di Toscana. “E’ lui il responsabile del ‘Priorista’ – spiega Francesco Martelli, oggi a capo della sezione Medicea dell’Archivio di Stato – cioè il catalogo destinato a identificare chi erano i cittadini che avevano governato la Repubblica fiorentina rivestendo la carica pubblica di priore o gonfaloniere, e le cui famiglie potevano dunque vantare titolo nobiliare”. In pratica, per tutta la vita il dotto Mariani si affina nell’arte di leggere le antiche grafie, vagliare e riordinare i documenti delle casate, verificare le notizie reperite, sforzandosi di ridurre al minimo i margini d’errore. A lui si rivolgono i nobili in cerca di un ‘certificato’: come archivista regio – pagato 5 ducati al mese dal Granduca – lo studioso ha il potere di firmare copie e attestazioni. “Per il ruolo ufficiale che aveva a corte, per la credibilità che si era guadagnato – continua Martelli – Mariani può essere considerato un archivista molto attendibile”. E chi meglio di lui può compilare il più delicato fra gli alberi genealogici, quello della famiglia regnante? Quando il Granduca chiede, l’erudito puntualmente esegue. Con lo scrupolo di sempre.
I documenti segreti – Eccola dunque, la “Genealogia della nobile famiglia Medici”, ancora avvolta nella pelle originaria: per redigerla, Mariani attinge sia alla parte segreta delle carte della stirpe granducale, sia ai documenti pubblici e i carteggi politici. “E’ un registro autentico, di grande valore – conferma Francesca Klein, vice direttrice dell’Archivio di Stato di Firenze – sappiamo che il principe Ferdinando ci tiene molto, lo conserva in biblioteca, considerandolo la versione ufficiale della propria discendenza. Un libro prezioso, che insieme a tutti gli altri documenti del fondo mediceo, passa da Palazzo Pitti agli Uffizi, dove entra a far parte dell’Archivio di Stato nel 1852, poi scampa all’alluvione, e infine arriva a Piazza Beccaria, sede attuale dell’Archivio “. Insomma, un archivista esperto e attendibile, una fonte autentica e preservata nei secoli. Ma allora perché i Medici alle prese con la storia di famiglia, dovrebbero dare credito alle ‘fandonie’ frutto della malevolenza degli antichi oppositori? Perché attribuire la scomparsa dei principi ad un duplice omicidio, smentendo così la versione della malattia che la corte al completo – a cominciare da Cosimo – avvalora fin dall’inizio?
La versione ufficiale – Il giorno stesso della scomparsa di Giovanni, il duca scrive al figlio maggiore Francesco – ospite della corte di Spagna – annunciandogli che il fratello, colto da febbre maligna a Rosignano, è morto. Cosimo scende in una serie quasi sconcertante di particolari, parla del numero dei salassi, arriva ad indicare la quantità di sangue estratta. Aggiunge che quelle febbri imperversano, e che anche gli altri due fratelli ne sono toccati, seppure in forma più lieve. Poi tace fino al 18 dicembre, quando una seconda lettera nuovamente imbevuta di dettagli sul decorso della malattia, arriva a Francesco annunciando la morte dell’altro fratello Garzia (avvenuta sei giorni prima!), e quella della madre (il giorno stesso). Le due lettere – ritrovate anch’esse in Archivio – sono ritenute le ‘prove inoppugnabili’ della veridicità della narrazione ufficiale del dramma. Trattandosi del maggior ‘indiziato’ – incidentalmente anche capo del regno – l’alibi fornito di propria mano dal Granduca non sembra oggi così inoppugnabile. Ma ciò che è più strano, è l’assoluto discredito raccolto nel tempo dalla versione del fratricidio, che pure si sparge subito in modo rapido fra il popolo, viene “comunemente creduta in Toscana” (Galluzzi), attraversa tutte le corti italiane (il senatore veneto Pietro Giustiniano la cita nella sua Historia Rerum Venetiarum), giunge al Concilio di Trento, dove l’ambasciatore di Cosimo, Giovanni Strozzi, mette in guardia il Duca: “ci sono state lettere per molti, ed è un mormorio così comune (…) che giudico mio debito scrivergliene”. Ma la cortina ufficiale di silenzio opposta ed imposta dai Medici funziona. E la storiografia che si afferma nei secoli, la versione che praticamente tutti gli storici privilegiano e riportano – citandosi l’un l ‘altro – è quella che non si fa sfiorare dal dubbio, e bolla il racconto come ‘frottola’ degli esiliati. Troppo efferato per essere vero. A inizi del ‘900, uno fra i più grandi esperti di questioni medicee, il medico, letterato e politico Gaetano Pieraccini, abbandona l’ipotesi di febbre influenzale per formulare la diagnosi di malaria perniciosa. Anche Pieraccini si basa su interpretazione dei sintomi ricavati dalle fonti letterarie. E dire che lui, quei corpi, li ha addirittura presi in mano.
L’esumazione dei corpi – Nel 1947, Pieraccini (e Giuseppe Genna) aprono i sepolcri di Giovanni, Garzia, Eleonora e Cosimo dei Medici; recuperano gli abiti, ma buttano via tutto ciò che non è materiale osseo, perché non hanno le conoscenze tecniche necessarie all’analisi di tessuti, capelli, tendini. Nel 2006 le salme dei principi vengono esumate per la seconda volta, e nuove indagini con strumenti appropriati rivelano antigeni della malaria nelle ossa. “Abbiamo dimostrato che i ragazzi erano venuti in contatto con il parassita, il plasmodium calciparum – spiega Raffaella Bianucci, ricercatrice dell’Università di Torino, esperta di paleopatologie – ma questo poteva essere accaduto anche precedentemente nella loro vita: insomma, erano o erano stati malati di malaria, ma non abbiamo la certezza che ne siano morti”. Se dunque anche la comunità scientifica non arriva a mettere la parola fine, la scoperta dell’albero genealogico potrebbe riaprire il dibattito. Non senza resistenze.“Quella del duplice omicidio rimane un’ipotesi romanzesca, poco attendibile – afferma per esempio Giovanni Cipriani, professore di Storia all’Università di Firenze – e la scoperta di un documento ufficiale pone certo qualche domanda in più, ma non può cambiare una storiografia affermata da secoli”.
Se dunque l’avallo degli storici è di là da venire, ai giornalisti non rimane che continuare a frugare. Può così capitare di imbattersi nella lettera dell’ambasciatore estense alla corte di Toscana, Alessandro Fiaschi. Che il 19 aprile del 1558 – cioè ben 4 anni prima del fatale viaggio in Maremma – informa i duchi di Ferrara dell’inaudito attacco portato a colpi di coltello dal principino Garcia contro il principe Giovanni. “La fortuna volse che Garcia lo colse nella gamba sinistra nella polpa ed entrò dentro (…), il che fece uscirli gran quantità di sangue”…. Coazione a ripetere?