PARIGI – David Foenkinos ancora non riesce a crederci: come fa a scalare tutte le classifiche la storia di una pittrice tedesca con la morte alle calcagna, gassata da Hitler a 26 anni insieme al bimbo che porta in sé? Ma la vera domanda è: come si riesce a scrivere una storia del genere, senza farsi schiacciare dal pathos e scivolare nell’ovvio? Breve riassunto della biografia della pittrice: Charlotte Salomon, bimba malinconica e solitaria, appartiene ad un albero genealogico maledetto in cui madre, sorella e nonna muoiono suicide. Artista precoce, è ammessa all’Accademia delle Belle Arti di Berlino, dove vince un premio che non può ritirare in quanto ebrea. Perseguitata in Germania, si rifugia in Francia, dove il destino l’acchiappa e la consegna ai nazisti. Muore ad Auschwitz il giorno stesso dell’arrivo. Incinta del primo figlio. “Ci ho messo 8 anni a tirare fuori questo libro” confessa l’ancora sbalordito Foenkinos, autore di “Charlotte”, successo editoriale del momento in Francia e Goncourt annunciato (esce in Italia il 27 gennaio con Mondadori). “Alla fine, non mi importava di quante persone l’avrebbero letto: l’essenziale era scriverlo”.
Come faccio a crederle? Mi sono imbattuto per caso in Charlotte, visitando una piccola esposizione dei suoi quadri a Parigi. E’ stato uno choc emotivo. Per anni ho continuato a pensare a lei, a sfogliare il catalogo delle opere. L’ho citata in altri libri, era diventata un’ossessione. Ho visitato tutti i luoghi della sua vita, sono andato a Berlino dove nacque e studiò, a Villefranche sur mer, in Costa Azzurra, dove si era rifugiata e dove fu denunciata e arrestata. Ma non riuscivo a scriverne.
Perché? Era una vicenda troppo drammatica, lontana da tutto ciò che avevo fatto o stavo facendo. Io scrivevo storie romantiche, dai toni leggeri, sentimentali. Così ho abbandonato il libro varie volte: mi soffocava.
Finchè… Un giorno sono andato a capo, casualmente. Ho tagliato una frase mentre scrivevo. Questo semplice fatto mi ha dato sollievo, mi ha fatto respirare. Ho capito che andare a capo ad ogni riga mi avrebbe permesso la delicatezza di cui avevo bisogno per narrare una storia cosi pesante.
C’era però un problema: non poteva superare i 73 caratteri, lo spazio di una riga. Paradossalmente è una costrizione che mi ha liberato, mi ha dato un ritmo. Tutti trovavano bizzarra la scelta di questa ‘prosa poetica’, e annunciavano un fiasco. Ma io non avevo scelta: era l’unico modo in cui il libro poteva nascere.
Perché ha sentito il bisogno di fare questo pellegrinaggio sui luoghi storici della vita di Charlotte? Perché volevo avvicinarmi il più possibile a lei, vedere ciò che aveva visto. Di questa artista non ci resta quasi nulla, solo un’unica opera autobiografica, “Vita? O Teatro?” con 1300 immagini a guache. La mia ricerca voleva aggiungere qualcosa. Sono tornato varie volte nel suo appartamento di Berlino, nella scuola che frequentava, e poi nella camera d’hotel dove si è rinchiusa a dipingere, per due anni.
E’ vero che una volta l’hanno cacciata in malo modo? Sì, è successo nella villa dove l’americana Ottilie Moore l’aveva nascosta, al Sud, insieme ad altri rifugiati, e dove poi è stata arrestata. Ho parlato di questo episodio solo per dire che la diffidenza, la brutalità sono ancora vive. E che la delazione non muore mai.
Oggi lei sa chi ha denunciato Charlotte? Dopo l’uscita del libro ho ricevuto tantissime testimonianze, fra cui quella della nipote dell’uomo che l’ha tradita. Sì, oggi so chi è stato. Era un miliziano conosciuto in paese, l’ha denunciata insieme a suo fratello, il farmacista che indicò la strada ai nazisti. E’ stato ucciso alla fine della guerra. Nei piccoli centri le cose si sanno… Ma non ho voluto insistere su questo aspetto. Io volevo parlare di lei, un’artista straordinaria, poco conosciuta, destinata a grandi cose se fosse sopravvissuta.
La descrive come una donna votata alla fragilità, abitata dalle ombre, dal silenzio. Eppure il suo lavoro è luminoso, vitale.Nel momento di maggior disperazione, Charlotte cerca e trova la bellezza nella parte più profonda del proprio io. Trasforma il dolore in follia creatrice. Reinventa la vita per poterla sopportare.
Le ha posto qualche problema questa ricostruzione? Insomma, è legittimo scrivere un’opera di fantasia su qualcuno realmente esistito? Non mi permetterei mai di dire che ciò che scrivo è il vero. D’altra parte, nessuno conosce la verità di un altro essere umano. Ma a forza di guardarla, studiarla, sentirla, credo di essere arrivato vicino a ciò che Charlotte era. E comunque io ho raggiunto il mio scopo: darle visibilità. Presto Gallimard pubblicherà la sua opera integrale, e a maggio una grande esposizione sarà inaugurata a Villefranche sur mer.
Grazie a Charlotte anche lei oggi è più conosciuto… Chi è David Foenkinos? Sono uno scrittore, ho 40 anni e un figlio. Ho rischiato di morire a 16 anni, ed è lì che ho cambiato pelle, scoprendo di amare la scrittura. Charlotte è il mio 13° libro: ma sinceramente, non consiglierei di leggere i primi sette.
Perché? Sono un po’ assurdi, figli di uno strano umorismo. Non mi riconosco più in quello che ho scritto.
Fino ad oggi lei non ha avuto molta fortuna in Italia: cosa le fa pensare che le cose potrebbero cambiare? Gli studenti italiani che studiano francese hanno già premiato ‘Charlotte’ col “Goncourt dei liceali”. Dopo la Francia, siete il primo paese in cui esce il libro. E poi buona parte dell’azione è ambientata vicino a Nizza. Nel libro ricordo che gli italiani occupavano quella zona e che finchè ci sono stati loro, gli ebrei erano in qualche modo ‘protetti’. Solo dopo l’8 settembre arrivano i tedeschi, e si intensificano le delazioni, la repressione.
Prima di essere arrestata, Charlotte mette i suoi lavori in una valigia e dice “E’ tutta la mia vita”. Lei cosa metterebbe in quella valigia? Io metterei questo libro. Vede, da 15 anni pubblico regolarmente un libro l’anno. Stavolta, sono fermo. Rispondo a centinaia di lettere, mi occupo delle celebrazioni su Charlotte… Non riesco a pensare ad altro, e – per la prima volta nella mia vita – non mi interessa sapere cosa farò dopo. E’ incredibile.
daniela cavini
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