E’ lavoro tratto dal fiume: sono lane pesanti, caldi tessuti, mantelli impermeabili pensati per le spalle di Re e (ricchi) mercanti. Nascono qui, nelle Gualchiere di Remole, il più importante opificio medioevale d’Europa. Siamo sulla riva sinistra dell’Arno, pochi chilometri a monte della città. Qui nel ‘300 si producono stoffe insensibili al gelo delle Fiandre, alla pioggia dell’Hampshire: panni preziosi contesi dai mercati di tutto l’Occidente. E’ un’industria mossa dall’acqua, che sfrutta la forza del fiume per pestare la lana, impastarla d’urina e argilla, e convertirla in tessuto pregiato. Un miracolo economico targato Firenze, costruito sulle braccia di chi quei mantelli non potrà mai permetterseli.
Quella piena che spazza via tutto – Come spesso succede, è un trauma a far decollare le cose. Già nella seconda metà del 200 – quando la borghesia mercantile prende il volo inaugurando il ‘secolo d’oro’ – i denti delle gualchiere si affacciano sull’Arno, pestando lana giorno e notte, e martellando il sonno del centro cittadino. Ma è l’alluvione del 1333 a spazzare via tutto: le grandi zattere agganciate alle sponde del fiume contribuiscono ad impedire il flusso delle acque, e a provocare la piena. La decisione del Comune è irremovibile: nessuna nuova gualchiera o mulino potrà essere ricostruito “per 400 braccia a valle del Ponte alla Carraia e per 2.000 a monte del Ponte di Rubaconte (il Ponte alle Grazie)”. Così la gualcatura delle lane si deve spostare.
Firenze capitale mondiale dell’industria tessile – Ci pensano gli Albizzi, nobiltà magnatizia in cerca di supremazia fra i lanaioli fiorentini. Hanno già adocchiato un buon terreno, compreso fra Rovezzano e Pontassieve. Proprio in quel punto – dove fin dalla preistoria si affaccia la transumanza – l’Arno si stringe, facilita il guado; e un’ansa ne rallenta la corsa, agevolando il governo dell’acqua. Sotto la spinta della potente famiglia, in pochi anni prende vita un vero e proprio distretto industriale: sulla riva sinistra le gualchiere di Remole, sulla destra quelle di Quintole, del Girone e di Rovezzano. Si tratta di un bacino produttivo d’avanguardia, completamente meccanizzato: è l’acqua a spingere tutto, cilindri, magli, aste che comprimono i tessuti all’interno di grandi vasche. La produttività è alle stelle, gli stranieri sono a bocca aperta. “A partire dal ‘300 – spiega Carlotta Cianferoni, funzionaria del Polo Museale fiorentino – questo complesso ospita uno dei settori manifatturieri più vitali d’Europa”. Firenze è la capitale mondiale dell’industria tessile: e le Gualchiere, collegate alle risorse idrologiche di zona, ma anche al vicino mercato (e centro finanziario) cittadini, fanno da propulsore al boom economico di cui si nutre anche il Rinascimento.
Anche le bombe tedesche – Le lane battute escono a tonnellate dalle vasche, mentre a generazioni i fiorentini si usurano immersi in un frastuono assordante, assediati da un odore nauseabondo: l’opificio è una fucina che attraversa i secoli. Quando gli Albizzi cadono in disgrazia, è – non a caso – l’Arte della Lana a rilevare l’industria, e a gestirla per oltre 250 anni, fino al momento in cui Pietro Leopoldo di Arti e Corporazioni non vuol più sentir parlare. Tutto cambia in questo passaggio fra sette e ottocento: non sono solo i princìpi rivoluzionari francesi e i codici napoleonici a scompigliare l’Europa, ma è la rivoluzione industriale figlia dell’illuminismo che – sposando il motore a scoppio – relega la meccanica idraulica in soffitta. Il prestigio dell’opificio è perduto, insieme alla funzione originaria. Al complesso di Remole – passato nelle mani del Comune di Firenze nel 1918 – rimangono lavorazioni residuali, il mulino, un colorificio. Ma la manifattura non cede. Bisogna aspettare le bombe tedesche del ‘44 perché la struttura subisca il primo tracollo: eppure il corpo di fabbrica regge, e continua ad operare. Il 4 novembre ’66 la piena – l’ennesima – distrugge il porto e spazza via il traghetto che ancora garantisce il collegamento fra le rive. E sempre, e nonostante tutto, il borgo non si arrende: quattro mulini rimangono in funzione fino al 1984, straordinario caso di impianto industriale tardo-medioevale che, superando le sfide del tempo, arriva quasi intatto ai giorni nostri. “Ecco perchè – conclude Cianferoni – le Gualchiere di Remole sono inserite nell’elenco dei beni storico-artistici tutelati dalla legge: la pescaia, le cateratte, le torri, il corpo di fabbrica, sono tutte parti di una struttura ancora capace di raccontare la propria storia, che è la storia di tutti noi. Una struttura capace di essere museo di se stessa”. E invece…
Il guardiano non si arrende – Invece oggi questo – che è uno dei maggiori esempi di archeologia pre-industriale d’Europa – è in gran parte inagibile, e a malapena visibile. Ingoiato dall’incuria di custodi incapaci di coltivare la manutenzione come virtù. Oggi la lungimiranza del passato è soffocata dall’erba, mentre il tempo accarezza le pietre in un abbraccio implacabile. Si fa fatica a percepire l’antico splendore, a meno di non chiamarsi Piero Gensini, scultore che da 26 anni scolpisce il vento e racconta l’acqua in uno studio affacciato sulla piazzetta, proprio davanti ad una delle torri. E’ rimasto solo lui: il guardiano delle Gualchiere. “Sono arrivato qui per caso – racconta Gensini – quando ancora il borgo viveva, con la sua bottega di alimentari, il ciabattino, qualche nucleo familiare. Pian piano se ne sono andati tutti. Anche i Del Soldato, che erano gualchierai fin dal Medioevo”. Ma lo scultore rimane, a lottare con l’umidità, a riparare tetti, e muri. Vuole resistere, e per far questo paga addirittura l’affitto al Comune. Con lui rimane la sua arte, traghettatrice di storie, capace di raccogliere il mormorio della pescaia, i sussulti delle cateratte, lo scalpiccio sulle torri merlate, ancora visibili, vicine. Vive. “In questo posto il vissuto umano trasuda dalle pietre – confessa l’artista – Le mura delle Gualchiere parlano, bisogna solo riuscire ad ascoltare”.