E’ il 1443, e Lucrezia Tornabuoni viene data in sposa a Piero dei Medici, primogenito di Cosimo il Vecchio, leader della più importante banca internazionale dell’epoca.
Non c’è bellezza nel viso di Lucrezia, e non ne passerà al figlio Lorenzo (chiamato comunque il Magnifico, ma per altri motivi). Carnato spento, vista corta, è anche afona: in un ritratto appeso alla National Gallery di Londra, il Ghirlandaio ce la mostra con il naso lungo e il mento sporgente. “Vetusta, non pulcra” azzardano i letterati del tempo. Ma Lucrezia è intelligente, colta. E ha sangue blu: grazie al prestigioso matrimonio, la scalata al potere della stirpe di mercanti fatti banchieri, si fa più evidente. Nobili sono infatti le origini dei Tornaquinci, divenuti Torna-Buoni. Si sono inurbati a Firenze fin dal X° secolo, si sono battuti contro Federico Barbarossa, sono Guelfi nell’animo. Fanno dunque parte dell’oligarchia cittadina di origine feudale – i ‘magnati’- da sempre ai vertici delle istituzioni comunali. Entrando in casa Medici, Lucrezia porta una dote esigua, appena 1.000 fiorini: ma le sue nozze con Piero suggellano l’alleanza con una casata dall’antico lignaggio, che oltretutto ha contribuito alla salvezza di Cosimo, solo pochi anni prima.
C’è stata una congiura, nel 1433. Alcune famiglie nobiliari, riunite intorno a Rinaldo degli Albizi, hanno cercato di liberarsi della schiatta medicea, risentendone il crescente prestigio, l’ascendente sul popolo. La sconfinata ricchezza. Cosimo è stato imprigionato nella Torre di Arnolfo – dove è sfuggito al veleno solo perché riusciva a farsi portare il cibo da casa – e poi esiliato a Venezia. Ma il ‘pater patriae’ è un genio politico. E poi, cosa c’è di più persuasivo del denaro? Spargendo ricchezza senza chiederla indietro – politica accorta in una città assetata di quattrini – il vecchio leone riesce a ribaltare la situazione, a riconquistare i favori del popolo. Adesso è giunto il momento di ripagare il debito con chi l’ha sostenuto. Le nozze Tornabuoni sanciscono il patto. Il fratello di Lucrezia, Giovanni entra a far parte della banca di famiglia. La giovane è accolta come prezioso tassello di un sistema di potere di larghi intenti. Con lei Cosimo ha pescato un jolly, e non tarderà a scoprirlo.
Fra le altre cose il marito Piero – saldo di mente, anche se malato nel corpo – assegna a Lucrezia il compito di distribuire le elemosine ai bisognosi. Ma la nobildonna è istruita, e non solo nelle lettere: ha affari, terreni, rendite proprie. Maneggia denaro con l’attitudine disinvolta appresa dagli avi. Capisce che per il sostegno popolare è vitale alimentare la rete delle sovvenzioni, e in fretta si adegua: finanzia artigiani e mercanti, elargisce generosamente a chiese e conventi. In una lettera scrive: “Quello che è bene per Firenze e la Toscana, lo è anche per la famiglia Medici”. Lucrezia è decisa, ha fiuto negli affari. Ed è così brava a coagulare consenso, che il suocero Cosimo dice di lei: ‘E’ l’unico uomo della famiglia’. La pensano più o meno così anche i fiorentini, chiamandola ‘il porto di tutti i misteri’. Soprattutto dopo la morte di Cosimo, è lei a dirigere la baracca, a tenere le chiavi delle masserizie, ma anche dei rapporti che il marito Piero – ormai inchiodato a letto per la gotta – non sempre è in grado di gestire. E lo fa con assoluta discrezione, sempre un passo indietro. Ha imparato tutto dal suocero.
Per il mondo Lucrezia – poetessa e letterata, protettrice del Poliziano e del Pulci – è madre affettuosa e dedita ai figli. Dopo aver accettato la presenza di Maria, figlia illegittima di Piero (seccatura comune all’epoca), Lucrezia mette al mondo due femmine, Bianca e Nannina, e due maschi, Lorenzo e Giuliano. Per i figli vuole la migliore istruzione possibile, li consegna all’eclettismo umanista di Marsilio Ficino, allo studio di Socrate e Alcibiade. Il latino lo insegna personalmente: “Abbiamo molto bene innanzi l’Ovidio – scrive al marito dalla residenza di Cafaggiolo – e Giuliano quattro libri fra istoria e favole!”. E’ la madre a trasmettere a Lorenzo quell’educazione incardinata sull’antichità, sui Re Filosofi di Platone, che faranno di lui il Magnifico di Firenze. Un rapporto strettissimo, quello che li lega: è lei ad allevarlo come un principe, “all’insegna della seduzione” (Tim Parks). Ed è proprio quando si tratta di scegliergli una sposa, che l’intuito di Lucrezia si esprime al meglio. Cosimo ha preso una Bardi, Piero una Tornabuoni; per Lorenzo, la madre guarda oltre. Bisogna uscire da Firenze, aprire orizzonti più ambiziosi. La politica delle alleanze matrimoniali vede proprio in Lucrezia – l’unico uomo della famiglia – l’artefice del salto di qualità necessario all’ascesa della stirpe, all’aggancio col Papato. La scelta cade su una Orsini di Roma, ed è proprio a Roma che – da brava mercante – Lucrezia va a prendere personale visione della ‘merce’. “Il petto non potemo vedere – scrive al marito – perché usano ire tutte turate, ma mostra di buone qualità”. L’affare è fatto: Lorenzo impalma Clarice fra il velato dissenso dei fiorentini, perché – riferisce Machiavelli – “colui che non vuole i suoi cittadini per parenti, gli vuole per servi”.
Non sarà un matrimonio felice. Mai innamorato di Clarice, Lorenzo rincorrerà altre donne. Ma è la madre l’unica a rimanere sempre al suo fianco, soprattutto dopo la morte di Piero, nel 1469, quando il giovane si ritrova a vent’anni a capo della famiglia (e della città). Nei giorni tumultuosi che seguono la Congiura dei Pazzi, Lucrezia si schiera saldamente accanto al figlio, sostenendolo nella sanguinaria vendetta. Quando muore, nel 1482, il Magnifico scrive a Eleonora d’Este: “Io resto tanto sconsolato, avendo perduto non solamente la madre, ma l’unico rifugio di molti miei fastidi e sollevamento di molte fatiche”. E’ (anche) grazie alla ferrea gestione di Lucrezia, che il cospicuo patrimonio familiare passa più o meno intatto nelle mani del nuovo Signore di Firenze. Il quale è preparato a tutto, meno che ad occuparsi della banca di famiglia: che non tarderà a svanire nel nulla.
@danielacavini
(1. continua)