FIRENZE – Mentre si esaminano i resti della presunta modella di Leonardo, c’è chi spera che Renzi possa salvare dall’incuria l’ex convento dove sarebbe sepolta Monna Lisa. Magari con l’aiuto di uno sceicco
Ma c’era proprio bisogno delle ossa di monna Lisa per fare un po’ di luce sul buco nero nel cuore di Firenze? Mentre continua la caccia ai resti mortali della moglie del mercante Francesco del Giocondo – detta per questo “la Gioconda” – per la prima volta in mezzo secolo si aprono al pubblico le porte dell’ex convento di Sant’Orsola. Qui la presunta modella di Leonardo sarebbe stata sepolta nel 1542. Qui dopo due anni di scavi, otto corpi sono stati esumati e oggi viaggiano fra le università di Bologna e del Salento in attesa di rivelarci il sesso, l’età, l’epoca storica di chi li abitava. Intanto, a partire da gennaio, il cancello della zona archeologica sarà aperto. E chiunque potrà aggirarsi fra i resti dell’antico convento, convertito dal tempo e dall’insipienza degli uomini in un bunker di ferro e acciaio. Il tutto mentre la politica latita, chiamando in soccorso artisti e investigatori. Ed attendendo il socio (arabo?) che risolva la questione.
Sposa a 15 anni. Sono tanti gli aspetti controversi di questa storia, scritta nel cuore pulsante di una città simbolo di cultura, patrimonio dell’umanità. Partiamo dalla protagonista, Lisa Gherardini, madonna del Rinascimento fiorentino individuata da tanti – a cominciare dal Vasari – come la ‘monna Lisa’ del celeberrimo ritratto. La Gherardini nasce a Firenze nel 1479, figlia di proprietari terrieri originari del Chianti. La famiglia vive a pochi passi dalla casa di Ser Piero da Vinci notaio e uomo di cultura, padre di Leonardo. A 15 anni la bella Lisa diventa la seconda moglie di un ricco mercante molto più anziano, Francesco del Giocondo, noto commerciante di lana e di seta. L’uomo è in affari con Lorenzo il Magnifico, si serve del Banco dei Medici a Roma per i pagamenti all’estero, primeggia in politica, sarà anche eletto priore. E’ dunque credibile che abbia potuto commissionare un quadro al famoso pittore, forse in occasione della nascita del secondo figlio. Dal matrimonio nascono tre maschi e due femmine. Quando Francesco del Giocondo muore, viene sepolto nella cappella di famiglia, in Santissima Annunziata. Madonna Lisa “ha sempre agito con spirito nobile, e come moglie fedele” scrive il mercante nel testamento siglato dal notaio di famiglia, il Piero da Vinci. Così l’uomo lascia ai figli i soldi per il sostentamento della madre. La “Gioconda” viene accolta come esterna nel convento delle francescane di Sant’Orsola, dove si trova la figlia Marietta. Il monastero funziona come una sorta di pensionato femminile, dove vengono alloggiate “in serbanza” donne sole, sopratutto di nobili origini o provenienti da famiglie benefattrici. Sappiamo che gentildonne di casa Capponi, Ginori e Medici si appoggiano qui, inclusa Maria Salviati, in attesa dell’eterno ritorno di Giovanni dalle Bande Nere. Per quattro anni la Lisa del Giocondo vive dunque a Sant’ Orsola, e qui presumibilmente muore. Lo dice il professor Giuseppe Pallanti, insegnante fiorentino con il pallino per la storia, secondo il quale nel Libro dei morti del Capitolo di San Lorenzo – la parrocchia da cui il convento dipende – accanto al nome di Lisa Gherardini si legge: “Donna fu di Francesco del Giocondo. Morì addì 15 di luglio 1542, sotterrossi in S.Orsola, tolse tutto il capitolo”. Pallanti rivela la scoperta nel gennaio del 2007. Una data da tenere a mente.
L’eterna ferita del quartiere. Eccoci dunque al Sant’Orsola, un tempo rifugio di anime, oggi territorio di esumazioni, ma soprattutto totem di un tessuto cittadino profanato dalla capitolazione della politica di fronte al bene comune. Fondato come luogo di clausura dalle Benedettine, passato ai telai e alle spezierie delle Francescane, il convento viene chiuso da Napoleone nel 1810 e trasformato in una manifattura tabacchi. Nel secondo dopoguerra il demanio ne apre le porte agli sfollati, soprattutto esuli istriani. Nel ’66 trovano qui un tetto persino gli alluvionati della terribile piena dell’Arno. Poi l’abbandono diventa totale. Ma l’incuria in cui l’immobile precipita è ancora niente rispetto al flagello che sta per abbattersi sulle antiche mura: a metà degli anni ’80 un folle piano di ristrutturazione consegna lo spazio monumentale alla Guardia di Finanza perché lo trasformi in una caserma che dovrà vivere ed operare nel cuore della Firenze medioevale. Nonostante le proteste del quartiere di San Lorenzo, il Sant’Orsola viene sventrato per accomodare un parcheggio interrato da 80 posti. L’archivio all’ultimo piano esige il sacrificio degli antichi solai. Armature d’acciaio intrappolano i chiostri. Quando dopo dieci anni di lavori – mai terminati – l’impresa Pontello fallisce, le porte dell’ex convento si richiudono pesantemente su qualche migliaio di tonnellate di tubature e cemento, riversate sul corpo vivo, ormai sfigurato, dell’antico monastero. L’arte che dà forma alla città è stata sepolta, e con lei fiumi di denaro pubblico. Una mostruosa impalcatura ingabbia l’eterna ferita del quartiere. E ancora una volta sul patrimonio violato cade il silenzio.
Attesa internazionale. Fino al 2007 quando, poco dopo la scoperta di Pallanti e poco prima di dare l’assalto al Comune, un lanciatissimo Presidente dalla Provincia Matteo Renzi promuove l’acquisizione del Sant’Orsola. Il progetto di recupero – fatto in ‘casa’, grazie anche al contributo delle associazioni locali – si concretizza in pochi anni : prevede la creazione di un vero spazio urbano in collegamento con le esigenze del quartiere, con un Liceo Artistico, un’accademia di danza, un auditorium, una piscina, una palestra. Uno spazio museale. Dopo decenni di degrado, il sogno di una fabbrica di cittadinanza sembra finalmente a portata di mano. Il costo? 31 milioni di euro che la Provincia pensa di poter mettere sul piatto in 3 anni. Ma … arriva il 2011 e il mondo di prima diventa quello di poi. La crisi economica scortica i bilanci, ci sono scuole e strade da tenere a galla: i finanziamenti per il Sant’Orsola vengono spalmati altrove. La Provincia – ente pluri-condannato ad una pena capitale la cui esecuzione viene incessantemente rinviata – lancia allora un bando per trovare un finanziatore: ma l’unica ditta in gara si ritira prima di essere proclamata vincitrice. Il progetto di recupero della fortezza di ferro non sembra sufficientemente appetibile al mercato. Nel frattempo, qualcos’altro si muove. Lo Sherlock Holmes delle esumazioni sbarca in convento.
Investigatori di enigmi. Silvano Vinceti ha letto della possibile sepoltura di monna Lisa Gherardini nelle viscere del monastero ed è deciso a riportarla a galla. Del resto, chi meglio di lui potrebbe scovare i mortali resti della dama? Documentarista e scrittore, Vinceti è presidente del Comitato nazionale per la valorizzazione dei beni storici culturali e ambientali, un’associazione decisa a risolvere i grandi enigmi della nostra storia facendo soprattutto uso di nuove tecnologie applicate all’arte. Vinceti è noto per aver aperto il sepolcro del Petrarca, identificato i resti di Caravaggio, ricostruito il volto di Poliziano, ipotizzato l’assassinio con arsenico di Pico della Mirandola. Il tutto scoperchiando sepolture e mettendo mano ai resti di celebrities avvizziti dal tempo. Insieme alla sua equipe, l’investigatore di enigmi si affianca agli scavi archeologici finanziati dalla Provincia di Firenze con una missione precisa e ben comunicata: individuare il corpo della Gherardini, ricostruirne le sembianze, dimostrare che è lei la donna ritratta da Leonardo. Ed ecco i media di tutto il globo accendersi magicamente sul cantiere fiorentino. Insieme a qualche inevitabile sospetto: che sia tutta un’operazione di marketing? “Non è vero che abbiamo finanziato gli scavi per permettere a Vinceti di trovare il corpo di Monna Lisa”, smentisce l’assessore al patrimonio della Provincia, Stefano Giorgetti. “La Sovrintendenza ci aveva imposto di fare quei lavori per verificare l’esistenza di eventuali reperti archeologici, che in effetti sono stati trovati. Con una spesa di poche migliaia di euro, la ricerca di Vinceti ha dato all’ex monastero una certa visibilità. Aspettiamo i risultati – conclude Giorgetti – prima di emettere giudizi definitivi”.
Salme recuperate. Per avere dunque conferma della clamorosa botta di fortuna che vedrebbe uno dei corpi esumati rispondere proprio al nome di Lisa Gherardini, bisognerà attendere ancora qualche mese. Ad oggi, dal pavimento di una piccola porzione dell’immobile – che sarà aperta al pubblico – è affiorata la prima chiesa del monastero, con un altare, la cripta, tre cassoni. Delle 8 salme recuperate, tre sembrano essere compatibili per età e anche (ma non è confermato) periodo storico. Dovranno ora essere sottoposte al confronto di DNA con Piero del Giocondo, l’unico fra i cinque figli della Monna Lisa di cui si conosca il luogo di sepoltura, in Santissima Annunziata. Certo che fra esami di radiocarbonio e biologia molecolare, le indagini sembrano oggi più una palestra per studiosi medico-legali che per storici dell’arte. Quanto all’accanimento con cui si stilano referti di decesso o si ricostruiscono mandibole, risulta anch’esso perfettamente in linea con l’odierna ossessione morbosa per la vita dei VIP, portata alle sue estreme conseguenze. Ma a chi lo accusa di essere solo un predatore di catacombe e parla di sciacallaggio del passato, Vinceti risponde candido: “Ieri gli storici trovavano risposte solo studiando vecchi documenti. Oggi la scienza ci regala nuove tecniche in grado di far luce sui misteri del passato, e magari anche di far rinascere interesse per un patrimonio in agonia per mancanza di fondi”.
Aspettando il ricco arabo. In effetti, da quando sono iniziate le esumazioni, gli studenti americani fanno la fila per accedere agli scavi, mentre televisioni giapponesi o australiane rimbalzano la notizia del possibile ritrovamento di monna Lisa da un lato all’altro del pianeta. Nell’attesa di un referto definitivo, la Provincia si concentra sul prossimo passo: cercare un concessionario disponibile a farsi carico dei 14.000 metri quadri di fortezza, ristrutturarli e gestirli per i prossimi 30 o 40 anni. L’ente sta già lavorando al bando da fare uscire a gennaio: dopo gli architetti a costo zero, che sia la volta del super progetto di una archistar? Una variante di destinazione d’uso non si nega ormai a nessuno, figuriamoci se una scuola non potrebbe diventare un albergo. E se poi sul più bello la sempre annunciata uscita di scena delle Provincie dovesse concretizzarsi, la gatta potrebbe essere pelata dal responsabile della futura Area Metropolitana di Firenze, nientemeno che Matteo Renzi in persona. Intanto nel quartiere fiorentino un disincanto misto a cinismo comincia a produrre strani effetti: c’è chi invoca la discesa in campo del solito sceicco pieno di dollari, e chi, puntando l’arte sul mondo, i dollari li ha già applicati sull’intera facciata del convento. E’ la provocazione del cecoslovacco Vaclav Pisvejc che – non si sa se per accendere un riflettore in più, o per infilarsi sotto uno già acceso – si è inerpicato fino al tetto, carico di (falsi) bigliettoni fruscianti. Per dieci giorni, e con la benedizione della Provincia, l’artista li ha minuziosamente attaccati in file pedisseque lungo tutto il perimetro esterno delle mura, da dove oggi le banconote sventolano sulla testa dei passanti. Icone tragiche. Vestali svestite. Custodi di una manutenzione del presente incapace di ereditare il passato. E tantomeno di progettare il futuro.
foto e testo di Daniela Cavini