E’ la madre del Duca: di lei restano solo vedovili ritratti in bianco e nero, commissionati dalla Corte e ammantati di garbata mestizia. Come se non fosse mai stata giovane. Si chiama Maria, ed una volta era giovane: ma neppure lei lo ricorda. Dal suo ventre umiliato nasce un unico frutto, destinato a grandi cose. Quel bimbo riunisce i rami divisi della famiglia, pacifica un regno con la forza e lo proietta nel futuro. Quel bimbo prezioso è la missione della vita. La missione di Maria.
Figlia del banchiere Jacopo Salviati e di Lucrezia de Medici, primogenita del Magnifico, Maria Salviati ha 10 anni quando Giovanni le piomba in casa: l’amore per il ragazzo è istintivo e totale. Lui è il turbolento orfano di Caterina Sforza e Giovanni Il Popolano, del ramo cadetto dei Signori di Firenze. Prima di morire, è proprio la madre Caterina ad affidarlo ai Salviati, che lo amano come un figlio. “Stammi di buon animo e di buona voglia, che mi sei di continuo nel cuore – gli scrive Lucrezia nel 1514 – io ti raccomando la Maria, che la vada spesso a vedere”. Per anni i Salviati preparano questo matrimonio, ma non rendono un buon servizio alla figlia. Maria (ramo Cafaggiolo) e Giovanni (ramo Popolano) sono opposti: schiva, modesta, paziente lei. Aspro, feroce, eccessivo lui. Cresciuto fra i boschi, sempre a cavallo o a tirar di spada, fin da ragazzo Giovanni si dedica a scorribande giovanili, cerca la rissa. Sul matrimonio recalcitra. Eppure per lui è un’occasione d’oro: questa unione lo mette al riparo dalle trame dei parenti, e lo riporta al piano nobile della famiglia. Giovanni tentenna, alla fine si piega. Maria arriva illusa alle nozze, convinta che la ritrosia del coniuge sarà vinta. Non è così. Giovanni trascorre i 10 anni di matrimonio scorrazzando in battaglia; da chiedersi come facciano a fare un figlio, che pure arriva, Cosimo, nome scelto dallo zio di Maria, quel papa Leone X al cui servizio si batte il capitano di ventura con le sue Bande Bianche (divenute Nere dopo la morte del pontefice).
Giovanni rincorre la morte, Maria lo aspetta invano
La nascita di Cosimo poco cambia nella vita del padre. Le lettere di Maria lo richiamano dolcemente: “E’ quattro mesi che vi partisti, che io ho avere ancora una parola di vostra mano…”. Lui scrive dal campo all’amico Francesco Albizzi: “Leverete quella putta greca che io lasciai a Viterbo et mandatemela qua…”. Giovanni incalza guerre e donne per tutta la vita: si sa di una Camilla romana, una Angelica veneziana … Maria lo aspetta: “Da poi che la Signoria vostra partì di qua, io gli ho scripto 50 lettere, et mai di nessuna ho avuto risposta”. Giovanni sembra rincorrere la morte sui campi di battaglia, dove primeggia: un capitano eccellentissimo con un unico scopo nella vita, e perennemente in fuga da se stesso. Intanto continua a chiedere soldi alla moglie con cui finanziare imprese e ‘putte’. Tanto che ad un certo punto Maria è costretta a riprenderlo: “Qui manca la biada, e cosa alcuna. E grano da mangiare”. Giovanni risponde che si rivolga al Papa, che è suo zio, e si faccia dare i soldi.
Non ci sarà tempo. Ferito da un reparto di lanzichenecchi (diretti con Carlo V al saccheggio di Roma), nel 1526 il giovane capitano delle Bande Nere è mangiato via dalla cancrena. La morte di quest’uomo mai pago lascia sgomente le truppe papali, e converte una moglie a tempo parziale in una vedova a tempo pieno. Maria ha 27 anni: pur “ancora fresca e di buona voglia”, respinge ogni richiesta, rinuncia a nuove nozze. Come era vissuta, aggrappata ad un matrimonio vuoto, così si immola a quell’unico figlio, per farne ciò che il destino chiede. “Subito che quell’anima del signor mio consorte venne manco, io mi proposi viver sempre col mio figliolo, possendogli giovare io stando con lui, più che lasciandolo”. Con pochi mezzi e grande dignità, Maria e Cosimo vivono al Castello del Trebbio. Lì vicino abitano un’altra Maria (la Soderini) e il figlio Lorenzino, anche lui Popolano: i due ragazzi crescono in amicizia, ma il destino li vuole rivali, l’uno assassinato su commissione dell’altro.
Cosimo, educato da principe
Lontano dai maneggi di Palazzo, Cosimo si fa uomo sano, robusto e taciturno. Nonostante le ristrettezze economiche, la madre veglia sull’educazione di questo pronipote del Magnifico: caccia e spada, ma anche latino e classici. Per “pianare i debiti” chiede aiuto a Filippo Strozzi e già nel 1530 manda il figlio all’incoronazione di Carlo V, a Bologna: pur se ogni ipotesi di regno sembra per lui remota, nelle sue vene i due rami della famiglia si ricompongono, e la madre vuole che l’imperatore lo sappia. Il lavoro di Maria è paziente, perspicace. Quando i Medici di Cafaggiolo tornano al potere, riesce a piazzare Cosimino al seguito del duca Alessandro: il ragazzo ne scorta i viaggi a Napoli, a Roma, a Venezia, respirando tutte le trappole e le opportunità della politica. Maria vigila, sempre protesa verso la costruzione del Principe. Nel 1537 l’arrivo al Trebbio degli ottimati cittadini la trova pronta: vogliono incoronare il 17enne Cosimo sul trono di Firenze, dopo che Lorenzino ha fatto a pezzi il dispotico duca Alessandro, spazzando via per sempre il ramo principale della famiglia. Cosimo è preparato, anche se chi gli è davanti non lo sa, e immagina di poter manipolare questo modesto adolescente di campagna. Errore. In meno di un anno, il figlio del re delle Bande Nere, il nipote della tigre di Forlì esautora i consiglieri, prende il potere assoluto, sbaraglia e mette a tacere chi tentava di opporsi (incluso quel Filippo Strozzi la cui generosità lo aveva soccorso nel bisogno). E commissiona l’omicidio di Lorenzino, eseguito spietatamente ben 10 anni dopo.
Madre del Duca, eccola, Maria: lo scopo della vita s’è compiuto, la scommessa vinta. Diventa nonna, si occupa della numerosa prole che Cosimo ed Eleonora le daranno. Sprezzante del potere, rifiuta persino la provvigione stabilita per lei e – anche se a Palazzo Vecchio un appartamento è sempre pronto – torna al Trebbio. Silenziosamente, come era vissuta, scompare dalla scena. Artefice, più che spettatrice, della più sfolgorante delle carriere politiche.
@danielacavini