L’indirizzo è lo stesso, e così le aule, le macchine, gli strumenti didattici. Persino gli armadi sono sempre quelli. Benvenuti all’Istituto Tecnico Toscano di via Giusti: la macchina del tempo ci scarica qui, siamo nel 1891, e il futuro della scienza non è mai sembrato così radioso; in nessun altra epoca l’uomo è altrettanto certo che le conquiste tecnologiche possano affrancarlo da privazioni e fatiche quotidiane.
A centinaia gli studenti si iscrivono al più autorevole Istituto italiano di scienza e tecnologia, pronto a sfornare generazioni di proto-industriali ed artigiani devoti alla crescita del paese. Qui nascono gli ingegneri destinati a potenziare i vari settori dell’industria manifatturiera della Toscana, i tecnici capaci di incrementarne lo sviluppo agricolo. La rivoluzione industriale ottocentesca trova sui banchi dell’Istituto il proprio motore. E’ stato il Granduca Leopoldo II, nel 1853, a fondarlo, sull’esempio del Conservatorio d’Arti e Mestieri di Parigi, introdotto in Italia dai Francesi a inizio ‘800. Una scuola d’avanguardia, figlia di un preciso disegno riformatore, in cui insegnamento e ricerca si nutrono l’uno dell’altra; in cui si pratica “un sistema di studio ben diverso da quello di prima, e maggiormente diretto all’utilità delle arti diverse, alle quali è appoggiato il comodo del viver nostro” (Antonio Targioni Tozzetti).
Grazie all’impulso iniziale del primo direttore – il matematico pisano Filippo Corridi – grazie alle esposizioni internazionali, ai convegni degli scienziati, alla fame che di se stessa ha la scienza, per tutta la seconda metà dell’800 l’Istituto cresce, moltiplica le cattedre, aumenta gli acquisti di apparecchi, riceve donazioni di strumenti e collezioni. Diventa luogo di eccellenza per la didattica e la sperimentazione, portando all’apice le lezioni di Galileo. Firenze brilla nel panorama scientifico nazionale, il primo motore a scoppio della storia è appena stato inventato nei locali dello Ximeniano. La corona di capitale spinge ancora più in alto investimenti e ambizioni. Tanto che a fine ottocento gli spazi non bastano più: l’Istituto si trasferisce da via Cavour a via Giusti. Nel 1891, per chi bussa alla sua porta l’avvenire professionale è assicurato.
L’insegnamento è rivolto alle ‘arti’, ovvero alla pratica delle lavorazioni e dei processi produttivi : qualcosa di profondamente ancorato alle operose radici cittadine. Nel Gabinetto di Fisica e Meccanica si accumulano gli utensili della scienza, i primi tubi a raggi x, i primi telegrafi scriventi, le macchine per liquefare il gas. Qui gli studenti imparano – mentre i professori sperimentano – come si trasmette il movimento, come si fanno funzionare telai e turbine: qui studiano ottica e acustica, meccanica e elettricità, per poi andare a lavorare in un’industria alimentata a colpi di dinamo e macchine a vapore. “Ho ripulito e rimesso in funzione personalmente tutti gli strumenti – spiega Paolo Brenni, del Gabinetto di Fisica – Non sono pezzi raccolti qua e là, separati dal contesto originario. E’ invece una straordinaria collezione omogenea di circa 3.000 oggetti, giunti quasi intatti fino a noi: cosa rarissima, visto che normalmente collezioni simili sono state disperse o hanno subito gravi perdite”. Oggetti esposti nelle stesse sale che li ospitano da oltre 100 anni. E che non raccolgono soltanto la Fisica.
“Per diventare falegnami, ceramisti o agrimensori – spiega Donatella Lippi, Presidentessa della ‘Fondazione Scienza e Tecnica’ che oggi tutela le collezioni – gli studenti devono conoscere i dettagli dei processi lavorativi, e impadronirsi della struttura di piante e porcellane, erbari e legnami. Devono imparare a distinguere i vari tipi di filati a seconda dei diversi stadi di lavorazione. Un sapere unitario, di cui oggi abbiamo perso la nozione”. Ecco dunque le collezioni di Scienze Naturali, ricche di ogni sorta di campionatura. Svettano i fiori, con petali ricreati in piuma o tela, gesso o cartapesta, meravigliose opere d’arte su cui si formano intere generazioni di botanici. Ecco le “tele cerate” di Egisto Tortori – originarie del laboratorio della Specola – modelli unici al mondo fatti in cera per illustrare l’anatomia di piante ed animali senza ricorrere al microscopio. E che dire degli invertebrati marini, i 113 modellini realizzati in vetro con assoluto rigore scientifico dai Blaschka (padre e figlio, di origine boema) al rientro dalle spedizioni navali nei mari del Nord Europa. Una collezione che non ha eguali in Italia, presto disponibile anche in 3D dopo l’acquisizione delle immagini da parte del Cyprus Institute for Research, Technology and Innovation. “Il valore documentale di queste raccolte è insostituibile – spiega Lippi – Esse ci mostrano come le varie discipline non siano studiate sui libri, ma vengano manipolate, vissute, interiorizzate dagli studenti. Che diventavano protagonisti anche perché chiamati a produrre durante l’apprendistato”.
Collezioni straordinarie. Eppure le vicende della storia, ma soprattutto l’accelerazione della scienza nel ‘900, finiscono per renderle obsolete, relegandole in un angolo. Tuttavia il loro valore è tale da non permetterne l’abbandono. Così – mentre l’antico Istituto Tecnico Toscano si incarna nell’odierno Polo ‘Salvemini-Duca D’Aosta’ – su iniziativa di Regione, Provincia e Comune di Firenze (e col supporto del Museo Galileo) viene creata nel 1987 la ‘Fondazione Scienza e Tecnica’. Obiettivo: recuperare e valorizzare gli oltre 50.000 oggetti e macchinari. Che oggi sono lì, allo stesso indirizzo, nelle stesse sale. Dentro gli stessi armadi. Racconto civico e sociale di un’epoca ubriaca di speranza. Spicchio di un patrimonio scientifico-culturale che ci appartiene, rendendoci cittadini. Frammento dell’umanità storica di cui ognuno di noi fa parte. Wunderkammer custodita come monumento all’Ottocento, e al suo inno alla scienza.
Daniela, non avevo visto! Possiamo mettere un link?
Grazie mille.
ma certo!