FIRENZE – Chi abbandona un neonato lo fa di notte. Di notte, quando è più facile scivolare nel buio e trovare la forza di travasare la sorte di un bambino dalle braccia della madre a quelle del fato.
E’ il 30 giugno 1875, sono le dieci di sera e nel giro di mezz’ora due corpicini avvolti in fasce vengono deposti sulla ‘ferrata’ dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, uno dei più antichi ‘Spedali’ di assistenza all’infanzia del mondo. Mani anonime spingono i piccoli attraverso una grata di ferro, chiamata ‘presepe’ per addolcire l’approdo in brefotrofio ai Gesù bambino senza presente, affidati alla carità pubblica per avere un futuro.
Le maglie della finestra sono strette, costruite ad arte per far passare solo i neonati. Dietro quella grata, chi abbandona pensa ad un porto sicuro, una nutrice, del latte. Una vita purchessia. Accanto alla ferrata, un campanello. E’ sufficiente suonarlo e non c’è più ritorno: chi ha deposto il fardello si può dileguare nel buio da cui proviene, mentre la sorvegliante avverte la balia di turno. I gittatelli sono sollevati dal ‘presepe’ e sistemati in un giaciglio di prima accoglienza. Ciascuno riceve un posto nel registro ‘Balie e Bambini’ e un nome a capriccio di chi lo accoglie: i due piccoli arrivati nella notte del 30 giugno vengono battezzati Laudata e Ultimo. Fra le fasce affiorano i relitti di una vita appena andata in frantumi: un bigliettino con poche righe stentate, una mezza medaglia, una moneta tagliata a metà. Sono i ‘segni’, corredo di un passato breve e tormentato. Uniche tracce che potrebbero un giorno riportare un genitore in ginocchio davanti al trovatello, e che finiscono archiviate in una cassapanca dell’Istituto.
Ognuno dei bimbi avrà presto una balia e sarà mandato in campagna a ‘respirare aria buona’. Se sopravvive, sarà affidato ad una famiglia di contadini, forse un giorno sarà reclamato dai genitori, più probabilmente tornerà in Istituto. I maschi finiranno a zappare la terra o ad alimentare le botteghe fiorentine di mano d’opera specializzata. Le femmine sono destinate a cucire o tessere per lo Spedale, le più fortunate a riciclarsi domestiche di famiglie facoltose. Ogni passaggio dell’esistenza dei ‘nocentini’ è annotato nei registri. Un affresco multiforme creato dai piccoli grandi eventi di ogni parabola umana, inclusa la morte. In 600 anni, circa 500.000 bambini consegnano la propria storia – oltre alla propria vita – all’Istituto degli Innocenti di Firenze. Oggi 13 mila fascicoli accuratamente conservati ci narrano dell’arco di tempo che va dal 15° al 20° secolo, delle politiche e delle leggi, delle credenze, dei pregiudizi. Delle carestie. Un Archivio senza precedenti di radiografie dell’umano. Attraverso quel mondo di storie, la memoria dell’Istituto diventa quella della città. Dell’infanzia tutta.
Allattamento mercenario
Frutto della grande stagione umanistica fiorentina, l’Istituto degli Innocenti di Firenze vede la luce nella prima metà del ‘400, quando abbandono e infanticidio sono una vera piaga sociale. La struttura è fin dall’inizio un ente laico, sostenuto da donazioni private. Grazie al ricco mercante pratese Francesco Datini e al risveglio civico che nutre il Rinascimento delle arti, la Corporazione della Seta e la Repubblica Fiorentina si accordano sulla costruzione di un ospizio dedicato esclusivamente ai trovatelli. Il progetto è affidato a Filippo Brunelleschi e il 5 febbraio 1445 la prima innocente atterra sulla ferrata: si chiama Agata Smeralda dal nome della santa patrona del giorno, e sappiamo dalla sua scheda che cambierà 3 balie.
Figli della colpa o della miseria, nei secoli i neonati continuano ad essere accolti. Sono in maggioranza femmine, come le madri che le partoriscono. Scartabellando i fascicoli delle creature, si intravedono storie di miseria estrema, di solitudine, di lacerazioni. Di donne comunque ‘non in regola’, cui la morale dominante – e poi la legge – non consentono di riconoscere i figli. Per loro e i loro bimbi, il brefotrofio à l’unica soluzione. Nasce il mercato del latte, l’oro bianco da cui dipendono vita e fortuna di intere famiglie. Di donne che allattano al posto di altre donne. Casate benestanti in cerca di nutrici da una parte, madri povere o illegittime dall’altra, contribuiscono ad alimentare la fiorente attività e con essa anche l’abbandono di bimbi. Le famiglie aristocratiche (e più tardi borghesi) accettano come balie solo madri senza figli: non di rado una donna è costretta a lasciare la propria creatura all’Istituto per poter entrare a servizio come nutrice. Quel bambino sarà così allevato da un altro seno, un’altra madre sarà pagata per tenerlo in vita. E cosi via, nel circolo senza fine dell’allattamento mercenario.
Maltrattamenti e denunce
Se nei primi secoli lo Spedale si rivolge esclusivamente a nutrici interne, presto ci si rende conto che epidemie e carestie si combattono meglio da altre trincee. Nasce il baliatico esterno, gli ‘innocenti’ sono affidati a contadine pagate per allattarli in campagna. Una volta svezzati, i bimbi passano a famiglie di tenutari, anch’essi salariati per accoglierli. Una carità assoldata a scopo economico, che non sempre genera lieto fine. I registri raccontano di ripetuti cambi di famiglia, di denunce anonime, restituendoci l’immagine di un’infanzia spesso oltraggiata. Come nel caso di Paolo Z., affidato ad una famiglia di Lamporecchio tenutaria di altri due bimbi. Dopo quasi due anni il direttore dell’Istituto riceve dal sindaco una lettera in cui lo si informa che : “… tutti e tre i gittatelli non sono tenuti bene, per via dello stato di eccezionale miserabilità dei tenutari”. I bambini vengono allora ripresi dallo Spedale. Paolo è consegnato ad una famiglia di Scarperia, ma 4 anni dopo una nuova lettera anonima accusa la tenutaria Annina: “…lo tiene sporco, lo bastona continuamente, lo mette a letto senza mangiare…tanto che il bambino si sente piangere fuori nei campi, da lontano, cosa che fa gran pena”. Ancora una volta Paolo torna agli Innocenti. Solo la terza famiglia riuscirà ad accoglierlo con umanità, e a farne un uomo.
La fine del ‘presepe’
Le malattie – soprattutto la sifilide – falcidiano gli esposti, ma non ne rallentano l’approdo sulla ferrata, che resta costante nel tempo: ogni anno per secoli, circa 500 bambini arrivano al ‘presepe’, una sorta di tasso fisiologico su cui l’Istituto prende il ritmo. Ma a partire dalla seconda metà del ‘700, gli abbandoni si intensificano, raggiungendo quota mille nei primi dell’800, per poi impennarsi improvvisamente e superare i 2.000 ricoveri nel 1850. Una media di quasi 6 esposti al giorno, con punte anche più elevate (tali da costringere a vorticosi salti di fantasia nell’attribuzione dei nomi, come si evince per esempio dal registro del 1 gennaio 1855, quando – dopo la morte per convulsioni e senza battesimo della prima gittatella – i bambini accolti in mattinata vengono chiamati Secondo Dell’Anno, Prudenza Dell’Enno, Pazienza Dell’Inno, Pietro Dell’Onno e Perpetua Dell’Unno…. ).
Perché? Cosa spinge migliaia di genitori a disfarsi così dei propri figli? I progressi della medicina, l’inizio del processo di urbanizzazione, l’euforia del momento storico, l’aumento dei matrimoni, tutto contribuisce al forte incremento demografico. Ma nell’Italia risorgimentale si continua a morire per fame. L’effetto è un drammatico aumento degli abbandoni e una conseguente pressione sull’Istituto, schiacciato dal sovraffollamento, delle spese sempre crescenti, dell’insufficienza di nutrici (che neppure ripetuti aumenti di paga riescono a scovare). I decessi si impennano. E la soluzione è drastica: se devono venire a morire in istituto, tanto vale che i bimbi provino a vivere con i genitori naturali. Dopo 450 anni di attività, la finestra ferrata viene chiusa, e rimpiazzata da un vero sportello di consegna. E’ la fine dell’abbandono anonimo, del meccanismo che portava coppie sposate a privarsi dei figli per miseria.
Nella notte del 30 giugno 1875 Laudata Chiusuri e Ultimo Lasciati sono gli ultimi due bambini deposti nel ‘presepe’. Sfogliando le pagine dei registri, si scopre che vengono battezzati e mandati a balia in campagna, Laudata a Londa, Ultimo a Fucecchio. Entrambi saranno poi cercati dai genitori subito dopo il periodo dell’allattamento, il più critico per le famiglie povere. Ma qui i loro destini divergono: Laudata sopravvive e viene ripresa dai genitori. Ultimo invece muore, prima ancora che il padre venga a chiederne notizie.
A partire dal 1 luglio 1875 i neonati sono accettati agli Innocenti solo se nati da madri nubili o in caso di gravi problemi familiari. Niente più ‘segni’, niente più corredo anonimo: il piccolo Primo Riformi, il primo trovatello arrivato al ricovero nella mattina di quella giornata di luglio, non ha nulla con sé, se non la propria storia di illegittimo raccontata dalla levatrice Carlotta Bucci, che lo accompagna all’Istituto e lo dichiara “nato da donna non unita in matrimonio”.
Pagare le madri al posto delle nutrici
Cinque anni dopo la chiusura della ferrata, il numero dei gittatelli è praticamente dimezzato. La mortalità dei lattanti accolti all’Istituto scende – per la prima volta nella sua storia – sotto il 20%. Ma è solo sul finire del secolo, facendosi strada contro pregiudizi e tabù, che comincia ad affermarsi l’unico vero rimedio contro abbandoni e decessi: la possibilità che le madri riconoscano il proprio figlio, e lo allattino. Lo mostra bene la storia di Elena, arrivata il 21 dicembre 1900. L’Istituto decide di affidarla alla madre, concedendo come aiuto a quest’ultima quanto per secoli era stato dato alla balia: un salario per l’allattamento della figlia. Madre e bambina si ritirano in un paesino della Romagna Toscana, di cui la donna era originaria. La loro presenza detta scandalo, al punto che il parroco del luogo si sente in dovere di scrivere al direttore degli Innocenti: “Da qualche tempo una giovane è tornata portando con sé una creatura avuta da cotesto ospedale, e che dice essere sua. Quale scandalo derivi lo lascio alla Sua considerazione. Tutto il paese è indignato, e a me muove continuamente lamenti o di far prendere la creatura alla suddetta giovane, o di farla allontanare”. Risposta del direttore: “La creatura tenuta a balia dalla Giovanna non è un’esposta affidatale per allattamento, ma sua figlia naturale, legalmente riconosciuta. Dietro queste spiegazioni credo che la Signoria Vostra non vedrà più motivo di scandalo: nessuna migliore carità può essere usata verso i poveri esposti, che il procurar loro fin dai primi giorni le carezze materne”. Sarà l’irrompere della prima guerra mondiale a fare piazza pulita delle nutrici interne ed esterne, spingendo i pregiudizi giù in trincea. Nel novembre 1917 una circolare ministeriale raccomanda ai brefotrofi di favorire quanto più possibile l’allattamento materno, “per modo che le madri abbiano ad allattare e tenere con loro i figli illegittimi”. Una misura d’emergenza presa sotto la spinta della guerra, tale però da innescare il processo di riorganizzazione dell’assistenza all’infanzia abbandonata in Italia.
Una fabbrica dell’accoglienza che intreccia arte e storia
Oggi un’imponente opera di restauro dei locali del Museo degli Innocenti si propone di riportare in vita queste storie, valorizzando il legame fra i documenti d’archivio e i capolavori d’arte acquisiti nei secoli dall’Istituto. A fine lavori, nel 2015, il nuovo Museo non sarà più solo una selezione di quadri, dall’Adorazione dei Magi del Ghirlandaio alla Madonna con bambino di Botticelli: il racconto storico di come qui si viveva e si moriva, le foto, le stesse voci degli ultimi gittatelli, faranno da filo conduttore all’esposizione artistica, che nel tempo ha accompagnato e sostenuto gli sforzi di questo ricovero per ‘creature nate da donna che non consente di essere nominata’. Perché il patrimonio meglio si racconta intorno alla storia e al territorio che lo ospitano. E perché la cultura diventa sviluppo anche nello sforzo di mantenere viva l’identità, creando contesto. Intrecciando l’arte alla storia che la sottende. Tanto più in un posto come gli Innocenti, dove ancor oggi i bambini scorrazzano a frotte sotto le armoniose arcate del Brunelleschi, e dove ininterrottamente da sei secoli le stanze continuano ad essere a servizio dell’infanzia, alloggiando oggi asili, nidi, case di ricezione per madri in difficoltà o per minori in attesa di affido. Una fabbrica dell’accoglienza che non ha eguali nel mondo. Anche verso chi è alla ricerca delle proprie origini.
Accanto a storici e studiosi, fra i più assidui frequentatori dell’Archivio sono infatti coloro che vogliono sapere, che cercano notizie sui genitori biologici. Che domandano di poter tornare là dove tutto ebbe inizio, per dare pace alla memoria. Spesso si tratta di gente molto anziana, vicina alla fine della vita e ansiosa di riconciliarsi col passato; ma anche di figli e nipoti in cerca di una conferma, un’identità. Quasi mai le carte contengono una risposta al quesito più impellente: che nome aveva la donna che abbandonò? Chi era? Ma se si conosce la data esatta in cui l’ex gittatello è arrivato agli Innocenti, i registri dello Spedale possono molto raccontare. E soprattutto aiutare a capire: perché lo fece?
Testi e foto di Daniela Cavini