C’è un quartiere cinese a Firenze, dove le donne oziano sotto i portici, i bambini si rincorrono in cortile, gli artigiani impastano vasi di porcellana, mentre gli impiegati si affrettano a tornare a casa dove li attende la moglie col ventaglio in mano. E’ un quartiere adagiato lungo un corso d’acqua, popolato di case, giardini fioriti e uccelli rari. A chi si chiede dove sia mai questo posto, basta salire sulla collina di Poggio Imperiale: è immortalato sulle carte da parati del piano nobile della celebre Villa.
Un villaggio ideale su carta da parati comprata da Leopoldo di Lorena per la residenza di Poggio Imperiale
Si tratta di un villaggio del 1700 e della comoda esistenza che vi si dipana, ivi incluso il racconto dei cicli produttivi di riso e seta, tè e porcellana: quattro stanze e 149 dipinti – nella quadreria ricomposta da Mirella Branca – in cui i cinesi narrano se stessi alle prese con la vita quotidiana. O meglio, con la bucolica immagine che ne hanno gli occidentali, e che i cittadini del Regno di Mezzo ben volentieri proiettano.
E’ il granduca Pietro Leopoldo di Lorena – sceso in Toscana nel 1765 – a far affiggere un pezzo di Cina sui muri dell’imperiale residenza di famiglia tanto amata dalle Granduchesse medicee. Non è il solo – in questo secolo peraltro illuminato e razionale – a lasciarsi travolgere dal gusto per l’esotismo. Sono ormai decenni che le corti europee sembrano impazzire per il Catai. Certo, da Marco Polo in poi il paese di Kublai Kan è vivo nei racconti e nelle fantasie dell’Occidente: la brama di porcellane attraversa le dimore nobiliari cinquecentesche, inglesi e olandesi si contendono i mari attraverso le Compagnie delle Indie, e memorabili ambascerie provenienti dal Siam – con le loro incisioni illustrate – diffondono meraviglia per le architetture, i giardini, i temi decorativi. Ma è solo alla fine del Seicento che Pechino apre il porto di Canton alla residenza per gli stranieri. A questo punto s’innesca la frenesia di collezionare manufatti, quei paraventi, mobili laccati o parati di carta che i funzionari della Compagnia delle Indie ordinano, ritirano al passaggio successivo (circa un anno dopo) e poi rivendono in patria. Arriva così anche la Cina oggi illustrata sulle pareti del Poggio Imperiale: Pietro Leopoldo commissiona le carte che dopo due anni arrivano a Livorno per essere consegnate al tappezziere. E’ il 1783 e il quartiere ideale viene messo in opera nell’ala sinistra della Villa.
Quella Cina fanastica amata da missionari e filosofi
“Sono rotoli di misure standard, eseguiti in laboratorio sotto la supervisione di un pittore” spiega la storica dell’arte Benedetta Bonfigli. “Il montaggio è sempre difficile: è vero che ci sono le istruzioni, ma i tappezzieri occidentali digiuni d’iconografia cinese talvolta accostano fogli non contigui, soprattutto quando si tratta dei cicli produttivi di tè o seta. In un caso – continua – la sequenza non è stata eseguita bene, ma nessuno sa esattamente quale sia. Il risultato comunque è indubbio: da quelle pareti ci guarda un mondo meraviglioso”. Una Cina di fantasia, effigiata per gli occidentali che così la immaginano – e la comprano – nel ‘700. Non si tratta solo dell’antica ammirazione per arte e manufatti: attraverso la traduzione dei missionari gesuiti, le opere di Confucio nutrono la visione di un paradiso di saggezza e libertà, un mondo semplice dove i filosofi siedono a corte con gli imperatori (ma non aveva fatto lo stesso Lorenzo il Magnifico?), e dove sovrani e cittadini indossano abiti della stessa fattura. Anche Voltaire condivide l’entusiasmo, ritenendo l’organizzazione dell’Impero “la migliore che il mondo abbia mai visto”. Come stupirsi dunque dell’atmosfera rarefatta, dei Mandarini in pantofole che si affacciano da radure boscose sulla vita del Granduca nelle stanze del Poggio?
La villa delle principesse
E’ la fotografia di un regno ideale ad animare Leopoldo di Lorena, né primo né ultimo a cadere sotto l’incanto dell’ex maniero mediceo, e a farne la dimora dei sogni. Cui ogni epoca aggiunge un pezzo. Quella che un tempo si chiamava ‘Villa Baroncelli’ viene infatti espropriata dal granduca Cosimo ai Salviati nel 1564, per essere donata alla figlia prediletta, Isabella. E’ lei la prima ad abitare qui; da questi salotti anima l’ultimo grande circolo intellettuale cittadino, che studia Aristotele e recita Ariosto. E’ Isabella la prima a portare al Poggio le collezioni e gli arredi, inaugurando il mito della ‘Villa delle principesse’. Dopo di lei Maria Maddalena d’Austria, sorella d’imperatore e moglie di granduca, amplia e abbellisce scalinate e sale, inventandosi un imponente viale d’accesso: il Poggio diventa Imperiale, e si consegna a Vittoria della Rovere, che ci mette del suo, rifà il salone e la sala delle udienze, mentre facciata e portico centrale son frutto delle nobili dame portate dalla tempesta napoleonica, la regina d’Etruria Maria Luisa e Elisa Baciocchi, sorella dell’imperatore. Insomma, con l’eccezione di Pietro Leopoldo, è una sfilza di donne –provvista ognuna di architetto di fiducia – a consegnare la Villa al Regno d’Italia. Che nel 1865 la cede in gestione perpetua al Collegio della SS. Annunziata.
Edda Mussolini fra le collegiali del Poggio Imperiale
Da allora, generazioni di signorine di buona famiglia dormono sotto i pescatori cinesi: un nome fra tutte, quello di Edda Mussolini, l’indomita e infelice figlia del capo del governo, costretta suo malgrado dal padre a iscriversi all’Educandato nel 1925. Si narra che un giorno Mussolini si presenti senza preavviso e fuori orario per visitare il Collegio. Maria Patrizi, direttrice d’altri tempi, lo accoglie con fredda cortesia, apre la finestra che dallo studio dà sul giardino e dice: “Ecco, questo è l’ambiente”. “Il Duce non è più tornato a chiedere di entrare – afferma l’addetta stampa dell’Educandato, Gioselia Pisano – si limitava ad aspettare la figlia fuori in macchina”. Evidentemente la rigida disciplina del Collegio non si adattava né al padre né alla ragazza, che dopo un anno ottiene di essere trasferita. Come la preside.
È veramente di basso livello intellettivo, e di poco rispetto verso la storia ed il potenziale lettore usare un argomento storico stilistico per offendere la memoria di Mussolini facendolo passare per un maleducato arrogante.