Vi presento la coppia più bella del mondo

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Sale&PepeMILANO – Elvis (la saliera) gigioneggia sulla sua limousine azzurra (la pepiera); il cavernicolo Adamo (pepiera) si stringe ad un’Eva licenziosa (saliera); e poi la Statua della Libertà (sale) divide il vassoio con l’Empire State building (pepe); e via condendo, Dracula che si erge intenerito su una bara, mentre un cilindro smontabile svetta sulla testa di Lincoln…  Ci voleva la collezione di Paola Trifirò – fino al 29 giugno alla Triennale Design Museum di Milano – per svelare i mille volti dei salt & pepper shakers, elementi secondari della mensa resi protagonisti dalla più inconsueta delle mostre. L’Expo –  affetta da gigantismo – non era il contenitore adatto alla fragile allegria della collezione: ma la Triennale, porto naturale delle arti applicate, ha subito spalancato la tavola, e oggi i salini-pepini della Trifirò troneggiano sui banchi del Design Cafè, luogo ideale per affluenza e connessione al tema.

Un mondo fatto di piccole cose. Un po’ kitsch. La raccolta è frutto dell’instancabile ricerca nei mercatini di tutto il mondo, durata quasi quarant’anni. “Ero al Festival delle Arti di Edimburgo – racconta la Trifirò, avvocata milanese appassionata di cucina forse più che di diritto –  quando mi trovai fra le mani una macchinina di ceramica colorata, con due cagnetti al posto di guida, estraibili. E con dei buchini sulla testa. A me piace il kitsch, così decisi di prenderla: era il 1978, pensavo che avrei potuto arredare un’intera stanza con gli oggetti improbabili raccolti in giro per il mondo”. Dopo la macchinina, è un piccolo aeroplano – localizzato in un negozio di antiques a Parigi – a cadere sotto lo sguardo della collezionista: “Gli si staccavano i motori, capii che potevano essere estratti e riempiti di sale e pepe… Naturalmente lo presi. Anche le sciocchezze, messe insieme, smettono di essere sciocchezze, e diventano collezione”. E spesso le collezioni si fanno grandi quasi senza accorgersene: cosi è per salini e pepini, che col passare degli anni aumentano in numero, raccontando di mondi lontani. Un universo multiforme e sfizioso, cartoline gioiose da giro del mondo. Ad un certo punto, l’accanita frequentatrice di mercatini si rende conto che la caccia agli shakers è diventata una cosa seria.  “Sono gli oggetti che mi cercano? Penso di sì. Alla fine, è un’attrazione reciproca, comune a tutti noi collezionisti. Forse pensiamo che il mondo non passa solo attraverso cose grandi, ma che vale la pena fermarsi a guardare quelle piccole”.

Da Ramesse II a Omero – Sale & pepe –  la coppia perfetta – non sono sempre stati ‘piccole cose’. La loro copiosa presenza sulle nostre tavole è fatto recente: per secoli, i popoli si sono accapigliati pur di procurarseli. Sotto il segno del sale e delle spezie, sono scoppiate rivoluzioni, sono state combattute guerre e vinte battaglie. Un grano di pepe nero fu trovato nella narice del corpo mummificato del faraone Ramesse II, mentre nel V secolo Attila chiedeva come riscatto una tonnellata della preziosa pianta per salvare Roma. D’altra parte già Omero chiamava il sale ‘sostanza divina’; in suo nome sono sorte città magnifiche (Salisburgo) e si sono costruite strade famose (via Salaria), mentre le flotte solcavano i mari e le carovane attraversavano il Sahara pur di mettere le mani su questo pregiato mezzo di pagamento. Eppure oggi i due millenari ingredienti condiscono la nostra vita in perfetto e abbondante anonimato. Dettagli marginali della tavola – mai al centro dell’attenzione –  saliere e pepiere accompagnano il pasto senza che quasi ce ne accorgiamo, da comparse discrete, ancorchè talvolta preziose. Ma quello che va in scena sui tavoli del Design Cafè è un altro mondo. I materiali sono i più vari, smalti e porcellane, stagno e vetro (ma anche plastica e legno). E’ un trionfo di colori e fatture squisite, bric à brac di mappamondi e giocatori di baseball, frullatori e dinosauri. Un guazzabuglio d’artigianalità d’altri tempi. Perché una piccola cosa utile non può essere (anche) divertente?

Sale&Pepe2Made in USA. O in Cina? – La pensano così da sempre gli Americani, non a caso i più grandi e spensierati fabbricanti di spargisale e spargipepe.  “Ho capito subito che avrei trovato negli USA la culla della produzione di massa. Dai primi decenni del ‘900 – spiega l’avvocata – queste deliziose banalità vengono regalate al posto dei fiammiferi al ristorante, o infilate nelle scatole di biscotti”. Insomma, se è vero che Francesco I di Francia commissionò a Benvenuto Cellini una gigantesca saliera d’oro e smalti preziosi (ancora oggi visibile a Vienna), i salt& pepper shakers invadono il mercato più consumistico del pianeta come gadgets pubblicitari, lieti di incarnare miti e valori di ‘Uncle Sam’: i felici anni ’50, la saga di ‘Via col Vento’, Marilyn e Halloween, Coca Cola e Greyhound. Molti sono anche i pezzi targati Occupied Japan, prodotti in Giappone fra il ’47 e il ’51, quando il paese è occupato dalle Forze Alleate.

 Allargare il campo del divertimento – Se gli USA aprono la strada come paese produttore, presto si aggiungono Inghilterra e Olanda, Francia e Portogallo. Ultima arrivata, la Cina. Il problema per la collezionista nasce quando cominciano ad arrivarle sul tavolo oggetti più moderni. Le preziose manifatture anni ’30, leggere e trasparenti, sono assai diverse dalle modeste ceramiche made in China di recente fatturazione. Che fare? Separare le cose antiche e raffinate, da quelle più attuali e grossolane? Alla fine, la scelta è un’altra; ed è poi anche il criterio con cui viene allestita l’esposizione. “Ho deciso  che la nobiltà dell’origine non poteva essere il parametro con cui costruire un divertissement”. Insomma, se l’obiettivo finale di una collezione di salt & pepper è il trionfo della fantasia, bisogna affidarsi all’idea di gioco, allargare il campo del divertimento. E mischiare tutto. Ecco perché le 600 coppie in mostra alla Triennale sono sistemate per semplici aree tematiche, talvolta provocando, talvolta confondendo. Ma sempre a prescindere dal blasone d’entrata. Una ventata d’allegria senza pretese, come si addice ad uno show minimalista il cui unico obiettivo è sorprendere.

 

@danielacavini

 

 

 

 

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